La processione

Salernitani delusi: «Queste beghe non fanno bene»

Rosanna Romano: «Un grave atto di maleducazione» Marco Coraggio: «Sbagliato bloccare gli altoparlanti»

SALERNO. La reazione è unanime. Sconcerto, amarezza, ferma condanna di un comportamento maldestro, irrispettoso e disturbante. Questa volta, il potere che si autoalimenta attraverso prove muscolari, ha prodotto un effetto boomerang. Spingendo la maggior parte dei salernitani, laici o credenti, a puntare il dito contro l’assenza delle istituzioni in un momento – la processione di San Matteo – che rappresenta il simbolo della ritualità e dell’identità di una comunità. «Ho trovato sconcertante il comportamento del Comune – commenta Rosanna Romano, dipendente della Soprintendenza – L’arcivescovo rappresenta l’autorità ecclesiastica e andava rispettato, come andavano rispettati i salernitani tutti. Io lavoro in Soprintendenza: se la Curia ci convoca, accogliamo l’invito, al di là di ogni problematica presente o pregressa. L’assenza di un rappresentante, del gonfalone e della fascia tricolore, sono stati un atto di maleducazione molto grave. Ho preso parte alla processione e siamo rimasti tutti molto delusi. All’arcivescovo Luiti Moretti non si può dire nulla. E neppure ai portatori, che hanno dimostrato senso di responsabilità, a differenza di altri enti».

Un testa a testa che puzza del peggior provincialismo e che sembra ben lontano dai tempi in cui l’allora senatore del Regno d’Italia e primo sindaco di Salerno, Matteo Luciani impose alla Chiesa di servirsi dei propri spazi per le processioni, ritenendo che il suolo pubblico fosse proprietà esclusiva di uno stato laico.

Era la fine dell’Ottocento e, condivisibili o meno, i valori erano quelli liberali. «In questo caso non mi pare sia così – ironizza il docente universitario Giso Amendola – Siamo piuttosto a Peppone e don Camillo, senza purtroppo quella genuinità provinciale che salvava il mondo piccolo di Guareschi, in una città senza identità».

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Non fa sconti il presidente dell’Ordine dei medici Bruno Ravera, che invita gli amministratori al rispetto del ruolo istituzionale: «Non è un problema di laicità ma di serietà – stigmatizza – E di rispondenza alle attese del popolo. Non tutte le persone che partecipano alla processione di San Matteo sono credenti e praticanti. Molti lo fanno perché si tratta di un appuntamento in cui tutta la città si riconosce e si unisce nel segno di un sentimento popolare. Potrei fare molti esempi, ma è come quando Massimo D’Alema, allora presidente del Consiglio, partecipò alla cerimonia di beatificazione di Padre Pio. Non si tratta di credo religioso, ma di ruoli istituzionali». Uno sfregio all’identità che si è tradotto in un chiaro segnale di fragilità, «perché abbiamo dimostrato di non essere in grado di trovare una identità comunitaria in uno di quei momenti simbolici. E questo ci rende deboli, cosa che sta accadendo in generale nel mezzogiorno, rispetto alle vere emergenze, come può essere il caso delle fonderie Pisano – analizza il drammaturgo Pasquale de Cristofaro – L’assenza delle istituzioni alla processione di San Matteo è stata imbarazzante e lascia una grande delusione. Spiace molto che non si riesca a trovare un’intesa tra istituzione civica e religiosa, perché ritengo che qualsiasi problema dovrebbe essere superato per il bene della comunità. Invece di rispettare le catene istituzionali, è stato dato un segnale che rischia di spaccare ulteriormente».

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Le fratture si riverberano anche sul commercio: «Non è più la festa di una volta. Mercoledì sera i ristoranti erano deserti, cosa mai successa prima – ricorda Antonio Ventre, commerciante – Del resto è da tempo che si è abdicato al programma dei festeggiamenti civili che erano invece importanti per incrementare il numero delle presenze sul territorio. È come se ci fosse il tentativo di cancellare questa festa da quando non è più vetrina per qualcuno».

La folla, infatti, non era quella degli anni precedenti: «Meglio così – sottolinea Marco Coraggio, videoartista – Quello che non mi è piaciuto è stato il fatto di negare il permesso per gli altoparlanti. Due pesi e due misure: nessuno negò una manifestazione, nel sottopiazza del Grand Hotel, dove i decibel erano alle stelle».(b.c.)

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