Scandalo ex carceri

Quando l’incuria è figlia delle scelte

Il Comune i finanziamenti li ha avuti ma li ha dirottati altrove. E insieme con i soldi c’erano anche progetti e idee

SALERNO. Il degrado delle ex carceri parte da molto lontano, ed è una storia di ritardi, incuria ma anche di scelte che hanno portato il Comune a privilegiare altri interventi e a lasciare indietro la parte alta del centro storico, utilizzato per ottenere fondi da dirottare poi altrove. E insieme con i soldi c’erano anche idee e progetti. Colpevolmente lasciati marcire insieme con la struttura. Ecco la ricostruzione. C’è stata un’epoca in cui l’amministrazione comunale ha deciso di puntare sulla rinascita del cuore antico della città, individuandolo come attrattore turistico e commerciale anche e soprattutto in considerazione della ricchezza di siti e di edifici storici di cui è trapuntato.

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Erano gli anni Novanta, quelli del primo mandato di Vincenzo De Luca sindaco e molto si è fatto in termini di recupero e risanamento, in particolare nell’ambito del progetto Urban, dalla Villa comunale al Municipio vecchio, dal complesso dell’Addolorata a palazzo Galdieri, dal San Michele all’impianto di illuminazione di vicoli e piazze.Il concorso dimenticato. 1997: l’urbanista e architetto Bernardo Secchi viene chiamato a presiedere un concorso internazionale di idee, quello dei cosiddetti “Edifici Mondo”, per il ridisegno urbano di palazzo San Massimo e delle vecchie carceri, oggi scheletri degradati, ridotti in discarica, tra antiche chiese lasciate marcire nelle erbacce, strade dissestate a picco sulla città nuova, cumuli di immondizia, ratti e pericolosi tappeti di siringhe.

Tra le varie proposte viene individuata quella dei giapponesi Sejima e Nishizawa (premio Pritzker 2010) per gli spazi pubblici e di Antonio Monestiroli e Manuel de las Casas, per i grandi edifici. La coppia giapponese interpretò il percorso verso gli antichi monasteri come una sorta di filo rosso fatto di punti di sosta e tappe successive, mentre de las Casas e Monestiroli, rilessero il complesso conventuale con l’obiettivo di migliorarne l’accessibilità con nuovi impianti di risalita e parcheggi d’interscambio, recuperando piazze e punti di osservazione e aprendo percorsi alternativi attraverso cortili e giardini.

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I fondi europei stornati sul fronte del mare. A giugno del 2008 il Comune presenta il progetto che si candida a ricevere i fondi “Più Europa” da destinare a sette siti: ex convento di Santa Maria della Consolazione (vecchio carcere femminile); ex conventi di San Francesco, San Pietro a Maiella e San Giacomo (vecchio carcere maschile); palazzo San Massimo; collegamento trincerone-salita Montevergine (la parte ovest che avrebbe garantito una via di accesso alla parte alta del centro storico); area Giardini della Minerva; via dei Canali, largo Campo, gradoni di Santa Maria de Lama; largo San Pietro a Corte e palazzo Fruscione; largo San Petrillo e Castel Terracena.

La scelta di quelle aree, non fu casuale, come si legge nelle ventitrè pagine della relazione redatta per strappare all’Unione europea i fondi: «L’area prescelta costituisce, per la rilevante presenza di elementi storico-architettonici, il fulcro dell’identità cittadina e al tempo stesso rappresenta una delle zone con maggiore capacità di condizionare la trasformazione della città». Senza considerare che: «La città storica evidenzia da tempo trend allarmanti: riduzione della popolazione e invecchiamento di quella che rimane, abbandono di una parte del patrimonio edilizio, terziarizzazione e successivo decadimento delle attività commerciali».

Nelle intenzioni di Palazzo di Città, dunque, non c’era solo la voglia di recuperare gli antici edifici, ma anche la necessità di «arrestare il processo involutivo in atto, destinato a sfociare in sempre più accentuati fenomeni di degrado socioeconomico quali povertà, emarginazione e disoccupazione». Ma nel novembre del 2009, tutto cambia.

La delibera del 2009. Basta leggera la delibera 1273 avente per oggetto la presa d’atto e l’accordo di programma per i fondi “Più Europa” per rendersi conto che gli ex conventi e San Massimo furono usati come grimaldello per intascare un budget che è stato poi stornato altrove. Nel documento gli interventi sono quattordici, e il centro storico alto risulta quasi totalmente cancellato. Nel nuovo elenco, infatti, vengono menzionati lavori per: piazza della Libertà; Trincerone est (e non ovest come inizialmente stabilito, tra l’altro in un’area, quella limitrofa a via Nizza, che nulla ha a che vedere con il centro storico tout court); chiesa Ss. Annunziata; campanile chiesa Ss. Annunziata; palazzo Umberto I - San Nicola; palazzo Fruscione; ex cinema Diana; eliminazione barriere architettoniche centro storico; impianto video sorveglianza centro storico; asilo nido Saragat di via Fusandola; asilo nido via Vernieri; urbanizzazione area Santa Teresa; urbanizzazione centro storico via Botteghelle; urbanizzazione centro storico via delle Galesse. Importo complessivo destinato alla «riqualificazione e rigenerazione sociale del centro storico»: oltre 48 milioni di euro.

Beninteso, quei fondi non sono andati perduti: ma è chiaro che sono stati sfruttati per il restyling di altre zone della città, con una forte attenzione per il fronte del mare, vedi la riqualificazione di Santa Teresa e piazza della Libertà. Una scelta politica dettata, molto probabilmente, dal fatto che l’area a ridosso del Crescent, rappresentava un punto di intervento non solo più facile in termini di accessibilità, ma decisamente più appetibili per gli imprenditori privati, che non avrebbero neppure dovuto passare per il giogo della Soprintendenza, trattandosi – per le vecchie carceri e San Massimo – di edifici sottoposti a vincolo, dunque di meno facile gestione anche sotto il profilo burocratico.(b.c.)

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