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Lasciò al “clan” Marotta le case confiscate, Alfieri verso il processo

Chiesto il rinvio a giudizio per il sindaco e tre funzionari. La Procura accusa: «Favorirono l’elusione della normativa antimafia»

AGROPOLI. Favori al “clan” Marotta. Omissioni nei doveri di sindaco per ingraziarsi la comunità dei cosiddetti “zingari”, consentendo ai suoi esponenti di restare per anni in case che la normativa antimafia aveva consentito di confiscare e che il Comune avrebbe dovuto utilizzare per finalità pubbliche. È con questa accusa che Franco Alfieri rischia adesso di dover affrontare un processo. Comparirà a gennaio davanti al giudice dell’udienza preliminare Valeria Campanile, a cui la Procura chiede di rinviare a giudizio lui e tre funzionari municipali: Marialuisa Amatucci e Biagio Motta, succedutisi nel ruolo di dirigenti dell’area Patrimonio, e Agostino Sica, in veste di dirigente responsabile del servizio manutentivo.

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Tutto inizia il 5 dicembre del 2008, quando il Comune di Agropoli riceve dall’Agenzia del Demanio tre appartamenti confiscati a Fiore Marotta, Alberico Dolce e Silvana Marotta. Gli occupanti erano già stati sgomberati e all’amministrazione comunale restava da registrare i cespiti nel suo patrimonio indisponibile e destinarli a una funzione di utilità pubblica, vigilando nel contempo che non vi fossero occupazioni abusive. Niente di tutto questo è accaduto. Quando i finanzieri del Gico andarono a eseguire un nuovo provvedimento di sequestro si scoprì che il vecchio era divenuto di fatto carta straccia, perché l’Amministrazione comunale non aveva mai utilizzato i tre immobili. Su uno di quegli appartamenti, viziato da irregolarità edilizie, era perfino stato concesso un condono. Il caso finì sulla scrivania della Direzione distrettuale antimafia, che sui Marotta aveva già in corso altre inchieste e che nel febbraio 2013 emise per Alfieri e due funzionari i primi avvisi. Un anno dopo la Dda ha però recepito le indicazioni del Tribunale per le misure di prevenzione – secondo cui il gruppo criminale dei Marotta è sí un clan familiare ma senza connotazione camorristica – e ha dichiarato la propria incompetenza, trasferendo gli atti alla Procura di Vallo della Lucania, che adesso spinge verso il processo.

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La richiesta di rinvio a giudizio è firmata dal sostituto procuratore Ivana Niglio insieme al procuratore capo Giancarlo Grippo, e accusa sindaco e funzionari di omissione in atti d’ufficio e sottrazione di beni alla loro destinazione. Lo avrebbero fatto secondo gli inquirenti in maniera consapevole, «allo scopo di favorire gli originari proprietari, che continuavano indebitamente a occuparli e a fruirne indisturbati». Tant’è che avrebbero continuato nell’omissione anche dopo che «era stato espresamente chiesto loro di adempiere». L’ipotesi è che il sindaco abbia chiuso un occhio per ottenere in cambio un aiuto elettorale nella folta comunità rom di Agropoli. Per i difensori (Antonio Zecca, Domenicantonio D’Alessandro, Alberto Surmonte e Domenico Amatucci) si è trattato solo di dimenticanze. Tesi che a gennaio porteranno davanti al gup.

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