Clan Marotta, nuove accuse al sindaco Alfieri

Il primo cittadino di Agropoli intercettato nella sua stanza mentre promette casa e lavoro a esponenti del gruppo criminale

I giudici che hanno confiscato i beni dei Marotta parlano di rapporto allarmante tra il gruppo criminale e i vertici del Comune di Agropoli. A carico del sindaco Franco Alfieri non c’è solo il mancato controllo sugli appartamenti sequestrati al sodalizio, già costatogli un avviso di conclusione indagine; a suo carico arrivano adesso nuove accuse, cristallizzate in due intercettazioni ambientali che lo registrano mentre, nel suo ufficio al Comune, parla con esponenti del “clan familiare” di promesse di casa e di lavoro. L’ultima conversazione è del 31 gennaio, quando nella stanza entra Fiore Marotta (sottoposto dal 3 dicembre 2012 alla detenzione domiciliare) e chiede un contratto di lavoro per poter accedere alla misura alternativa dell’affidamento in prova. «Dall’autorità comunale ottiene ampia rassicurazione e completa disponibilità» scrivono i giudici. E infatti la miscrospia collocata nell’ufficio di Alfieri registra la sua promessa («Non ti preoccupare, ti faccio fare una cosa coi servizi sociali») e la risposta dell’interlocutore («e allora ci posso contare... io la devo portare all’avvocato»). Che si tratti di Fiore Marotta non vi sono dubbi, è lo stesso sindaco a dirne nome e cognome ed è della sua convivente il numero telefonico lasciato ad Alfieri perché lo contattasse appena il contratto è pronto. Il politico non immagina che a Palazzo di Città sia stata messa una cimice, teme però che possano essere sotto controllo i telefoni degli interlocutori: «Guagliò, non parlate per telefono» ammonisce. E i timori li aveva già esternati due mesi prima, il 22 novembre del 2012, ad altri membri della famiglia che erano andati da lui per avere una corsia preferenziale nell’assegnazione di alloggi pubblici: «Quagliù non ci dovete venire qua perché quelli l’altra volta vi seguivano. Mi fate passare un guaio».

Le trascrizioni delle intercettazioni sono state depositate dal procuratore aggiunto Antonio Centore agli atti del procedimento per la confisca dei beni dei Marotta (disposta a dicembre dal Tribunale per le misure di prevenzione) e vanno ad arricchire il fascicolo d’inchiesta che vede Alfieri e i funzionari municipali Biagio Motta e Luisa Amatucci indagati per aver consentito al sodalizio degli “zingari” l’uso di tre appartamenti (uno intestato proprio a Fiore Marotta) che nel 2008 erano stati sequestrati e affidati al Comune. Secondo gli inquirenti Alfieri lo avrebbe fatto per garantirsi un maggiore consenso elettorale nella comunità rom. È accusato, per questo, di omissione d’atti d’ufficio e omessa custodia di cose sottoposte a sequestro, con l’aggravante di aver favorito interessi criminali. La Procura di Salerno li ha considerati finora interessi camorristici, rivendicando la competenza della Direzione distrettuale antimafia. La stessa pronuncia che dispone la confisca individua però il sodalizio come un “clan familiare”, dedito a reati come furti e usura e capace di influenzare l’operato dell’Amministrazione, ma senza connotarlo come organizzazione di tipo mafioso. Una definizione che ora potrebbe far venir meno la competenza distrettuale, facendo passare l’inchiesta su Alfieri alla Procura di Vallo della Lucania.