il caso

Beni tolti al clan e mai assegnati Condannati Alfieri e i funzionari

La Corte dei conti ha condannato insieme al sindaco, il consigliere Mauro Inverso e i dirigenti Marialuisa Amatucci, Biagio Motta, Agostino Sica

AGROPOLI. Beni confiscati alla camorra e assegnati al Comune di Agropoli, ma mai consegnati - come da legge - e anzi ancora in uso al clan al quale erano stati sottratti. L’inchiesta, condotta dal pm contabile Aurelio Laino, ha accertato un danno per le casse dell’amministrazione comunale di circa 65mila euro e per questo la Corte dei conti ha condannato il sindaco Franco Alfieri, il consigliere ed ex vice sindaco Mauro Inverso e i dirigenti Marialuisa Amatucci, Biagio Motta, Agostino Sica a pagare il danno. I beni, confiscati al clan Marotta, erano stato consegnati al Comune di Agropoli nel dicembre del 2008 e solo quattro anni dopo, ovvero nell’ottobre del 2012 «venivano riportati nell’inventario dei beni immobili ad uso pubblico».

Ecco la mappa dei beni confiscati realizzata da Confiscati Bene (dati dell'Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati)

Per questo il pm ha ritenuto che amministratori e dirigenti «avessero omesso di esercitare i poteri rientranti nelle rispettive competenze» e ne quantificava il danno, facendo «riferimento all’inutile spesa occorsa per canoni locativi corrisposti per l’utilizzo di strutture private, nell’arco temporale che va dal dicembre 2008 all’attualità». Si tratta degli immobili in via Vespucci, destinato a centro sociale polivalente per anziani e sede dell’Università della terza età; in via Piave, adibito a sede della Croce Rossa; in via Madonna del Carmine destinato per finalità assistenziali. Ad avviso del collegio (presidente Fiorenzo Santoro) il danno «è cagionato dal concorso omissivo di tutti gli odierni convenuti, i quali, con le rispettive condotte inerti ed i vari avvicendamenti nella funzione di responsabile del patrimonio dell’Ente, hanno di fatto allungato inaccettabilmente i tempi dell’iter finalizzato alla riqualificazione dei patrimoni confiscati».

E c’è di più. Solo quando, e siamo nel 2012, in seguito ad una sollecitazione del segretario generale Angela Del Baglivo la polizia municipale e il dirigente Motta in qualità di responsabile del Patrimonio nonché custode delle chiavi degli immobili si effettua un sopralluogo nel quale si riscontra che nell’immobile di via Madonna del Carmine, al civico 67 al piano rialzato, era presenti una coppia «e che il chiavistello della porta d’ingresso era stato sostituito dagli occupanti». Nello stesso stabile, al primo piano, «era vuoto ma era stato completamente ristrutturato ed arredato, nonostante l’ingegnere Sica avesse rifiutato, nei primi mesi del 2009, una Dia per ristrutturazione». Nell’immobile invece ubicato in via Iscalonga e risultato presente Guerino Marotta». Per questo il collegio spiega che «risulta pienamente provato il nesso causale tra le singole omissioni ed il danno attribuito». Ed ancora, scrivono i giudici contabili «si consideri che, senza l’inventarizzazione da parte del Sica, l’Amatucci, prima e il Motta successivamente, non hanno suggerito agli organi politici alcuna modalità di utilizzo a fini sociali dei suddetti beni» e ancora peggio «la totale inerzia dell’Inverso, pur delegato alla cosegna dei beni, ha favorito il perdurare di uno stato di abbandono di tali immobili».

In questo, il «sindaco Alfieri non ha mai richiesto ai responsabili delle Entrate e del patrimonio una rendicondazione del loro operato circa la gestione dei beni confiscati» ed ancora «non ha mai ordinato alla polizia municipale un sopralluogo, né altrimenti delegato tale incombenza, per acquisire una conoscenza reale dello stato dei luoghi, in vista di una loro successiva utilizzazione».

Eppure «tutti erano a conoscenza della confisca degli immobili» e dunque questa consapevolezza e l’inerzia manifesta «è il sintomo di un disinteresse gravemente colposo nella cura dei dei beni e degli interessi pubblici». E Alfieri, solo dal 2012 si è attivato. Infine i giudici sottolineano che il danno deriva non solo da «condotte omissive» ma il «mancato godimento di tali cespiti, non a fini lucrativi, ma sociali, il chè non esclude tout court una rilemanza economica di tale attività».

Su questa vicenda è in corso anche un procedimento penale presso il tribunale di Vallo dopo che una indagine dell’antimafia rivelò i legami tra il clan familiare dei Marotta e l’amministrazione di Agropoli.