L'inchiesta

Abusi edilizi, territorio sfregiato. Il cemento è senza regole

Ogni anno 400 sequestri ma pochissime demolizioni per mancanza di soldi

CASTELLABATE. Sulla collina che annuncia la riserva di Licosa, dieci villette riposano in pace. Scheletri sepolti da 25 anni nella fitta pineta che sorveglia il mare di Santa Maria di Castellabate e mai abbattuti. Ci si arriva da un sentiero sterrato, senza via di uscita. Chi tentò quello sfregio l’ha fatta franca con la giustizia ma non è riuscito a completarsi la villa, nonostante la protezione del bosco e di qualche controllore.

È andata meglio a tanti altri, per esempio a chi poco più sotto quelle villette abusive ne ha ricavato altre, dentro la roccia. E per stare più comodo con le sdraio, ha coperto di cemento gli scogli.

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Cemento, tanto cemento. In tutta la provincia di Salerno scatena una pioggia di sequestri di abusi che spesso finiscono nel nulla, tra prescrizioni, battaglie legali e inerzia dei comuni. Disegnano la minaccia al futuro. Secondo i carabinieri, sono circa 400 l’anno i sigilli in un settore delicato con più fattispecie di reato. Le demolizioni? Tre, forse quattro. Se si esclude la Procura generale. «Ma loro hanno avuto i soldi» taglia corto il procuratore di Salerno Corrado Lembo, con riferimento ai 200 mila euro ministeriali ottenuti dalla Procura generale per il ripristino ambientale della cava di Ottati. E allora a Paestum, dove un centinaio di nuovi abusi sono spuntati dentro l’area archeologica, diventa una fatica anche eseguire sentenze di condanna su dieci casi di violazione. La tettoia di un ristorante proprio di fronte all’ingresso dei templi, nonostante una perizia consumata, per buttarla giù non si trovano 10 mila euro.

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L’area ritenuta più “interessante” dall’Arma è la Valle dell’Irno, dove cresce l’aggressione al territorio, poi l’Agronocerino, il Cilento, la Piana del Sele infine la Costiera che registra fenomeni “gravi ma occasionali”. A Salerno diffuso da anni l’abuso di massa (sopraelevate, tettoie, gazebo) ma secondo la procura il codice rosso è in provincia. Case private, alberghi, pensioni e bed and breakfast, la tipologia suggerisce l’addio all’abuso di necessità, mentre si consolida il movente commerciale e affaristico. L’investimento di capitali. Per difendersi da quelli sospetti, nel Cilento non bastano più gli anticorpi delle parole. I dati della Forestale sono inquietanti.

«Nel Parco ogni anno facciamo ormai un centinaio di sequestri – spiega l’ingegner Ferdinando Sileo, vice questore a Vallo della Lucania – Gli immobili, residence, casa o alberghi, risultano tutti autorizzati ma il titolo è illegittimo. Se non riusciamo a bloccare l’abuso in corso di costruzione, l’immobile è venduto». Sigilli anche a 120 case mobili (in realtà ben piantate a terra) di un villaggio turistico tra Camerota e Palinuro. «A Ogliastro marina un albergo da milioni di euro, a Agnone 8 appartamenti a Punta capitello, l’ultimo sequestro alla barriera di 900 metri realizzata dal Comune a San Marco di Castellabate nell’area marina protetta» dice Sileo. Agropoli, Palinuro, Castellabate. Perfino Acciaroli perde la sua verginità. Nel comune che ha costruito la sua fama sul rispetto dell’ambiente, colpisce il dato incrociato di carabinieri e forestale: quasi cento sequestri in tre anni. Demolizioni? Il lamento è sempre lo stesso: non ci sono soldi. Ma se per le procure è un grido di dolore, quello dei comuni sembra un alibi. Almeno quelli più grandi che vivono di turismo. C’è un fondo di rotazione tra ministero e Regione a cui attingere, se proprio non si riesce a spuntare nulla dalla cassa depositi e prestiti. Bastano 20 mila euro per buttare giù un piccolo mostro che offende legge e buongusto. «Solo con Giuseppe Tarallo si sono viste demolizioni – ricorda Sileo – Da quando non c’è lui, nel Parco del Cilento non se né più vista una». Per abbattere 54 scheletri a Baia Arena nel 2004 Tarallo ha fatto spendere al Parco meno di un milione di euro e lasciato il territorio pulito. Una sola ditta accettò di demolire, di Eboli. E lì si è fermata la ruspa.

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