Salernitana, Sannino si confessa «Vogliamo stupire»

Il tecnico intervistato dai sacerdoti dopo il forfait di Lotito: «Non vedo l'ora di debuttare all'Arechi, se battiamo il Verona torno in Cattedrale»

SALERNO. Claudio Lotito non si confessa più. Atteso per quasi due ore da una squadra di otto sacerdoti che don Nello Senatore aveva messo in campo per rivolgergli domande sul rapporto con Dio, con la fede, la famiglia, il calcio e i tifosi, il co-patron della Salernitana fa sapere di essere in autostrada. In tarda serata, Lotito comunica il proprio disimpegno. Il ripensamento imbarazza i sacerdoti che confezionano subito la battuta: «È l’anno della misericordia, perdoniamolo». Le consultazioni si susseguono. La Salernitana all’ultimo istante invia l’allenatore Giuseppe Sannino. Non è un ripiego, anzi una scelta felice: l’allenatore è carico, sincero, conciliante, parla di tutto. Si confessa lui, il tecnico di Ottaviano. «Stavo mangiando con i miei familiari e sono stato catapultato su questo palco. Sono stato rapito e sono arrivato qua – ammette Sannino – Volete sapere se giocheremo con il modulo 3-5-2 ma a me i numeri non interessano. Esco di casa e sento “mister, mi raccomando domenica”. Non prometto a vanvera ma sapendo cosa si aspetta Salerno dalla sfida al Verona, dico che domenica daremo tutto. Non sono mai entrato all’Arechi nella mia vita ma l’ho vissuto attraverso ricordi da brividi di alcuni miei amici. Preferisco vivere un giorno da leone anziché cento da pecora».

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La valutazione sul mercato? «Chiedetela alla società. Credo si sia mossa bene per quello che doveva fare. È andato via Moro ed è arrivato Della Rocca che è un giocatore importante. Perico arriverà tra un paio di giorni. Credo che questa rosa, nella quale tutti devono saper fare un po’ di tutto, possa rendere meglio dell’anno scorso». Fuori dal campo e dalla tattica, Sannino racconta un retroscena: «Ho finito di giocare al calcio a trent’anni, non c’erano i guadagni di oggi. Ho lavorato anche per dieci anni in ospedale, cinque in quello psichiatrico e cinque in quello civile. Ho vissuto una vita e un’altra: essere idolo di una squadra e poi nella stessa città fare l’ausiliario è difficile. So che cosa significhi il dolore e stare vicino alle persone che soffrono. Ogni tanto andavo dentro le stanze a offrire il caffè e le sigarette. Nell’ospedale civile ho visto morire tanti miei amici, tanti tifosi. È lì, in mezzo al dolore, che ti accorgi quanto sia preziosa la vita».

Poi un simpatico botta e risposta con don Michele Pecoraro, parroco del Duomo. Comincia il prelato: «Mister, ero un numero 4 molto bravo. Non vengo molte volte allo stadio. L’ultima volta con il Lanciano e ci siamo salvati. San Matteo e la Salernitana a Salerno non si toccano. Pure l’allenatore si può toccare ma non San Matteo...».

Sorride Sannino, magari fa pure gli scongiuri e rilancia: «Ho già frequentato la Cattedrale. Se vinciamo con il Verona, ci ritorno. Chi ama lo sport e ama Dio è una persona serena, completa». Don Alfio Salvà, che l’anno scorso a fine stagione si è presentato al centro sportivo Mary Rosy per benedire la Salernitana, chiede «crescita umana e spirituale della squadra». Risposta secca di Sannino: «La fede anche nel calcio è un fatto soggettivo. Tanti all’ingresso in campo fanno riti, tanti il segno della croce. Perché scomodare l’Onnipotente per una partita di calcio? Disturbiamolo per cose più serie».

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