Salerno

La Fondazione Gatto rilegge i Canti Orfici con parole e suoni

Per "Salerno letteratura" appuntamento con l’audiolibro su Campana con la voce di Del Gaudio e le musiche di Giannella

SALERNO. La parola incontrollata giace nascosta in una zona buia tra il sonno e la veglia nella poesia di Dino Campana che scardinò i canoni classici della poesia, in Italia, mirando, a sua volta, al mirabile “spleen” dei maledetti d'Oltralpe.

Quel suo verso indefinito e puro ispirò fortemente la nuova leva di poeti del Novecento a cui l’autore dei Canti Orfici deve in fondo la sua stessa sepoltura.

Nel 1946, a quella cerimonia, c’erano Eugenio Montale, Vasco Pratolini e Alfonso Gatto; in virtù di questo legame, la Fondazione dedicata al poeta salernitano sceglie di celebrare il suo maestro toscano, pubblicando il disco “Dino Campana: cinque canti orfici” che verrà presentato, domani sera (ore 21), nell'ambito del Festival Salerno Letteratura, presso la Sala Pasolini.

L’audiolibro – la cui progettazione grafica è a cura di Valeriano Forte e Stefania Chieffi – raccoglie cinque canti orfici, interpretati dalla voce di Roberto Del Gaudio e dalle musiche originali del maestro Maurizio Giannella.

Il progetto, prodotto dalle Edizioni della Fondazione Alfonso Gatto, nasce due anni fa per rendere tributo a Campana in ricorrenza dei cento anni dalla prima pubblicazione dei versi.

La sonorizzazione, arricchita dalle illustrazioni della Chieffi, attraverso le suggestioni evocate dalla lettura di Roberto Del Gaudio e dalle musiche elettro-acustiche di Maurizio Giannella, scorterà il fruitore in un viaggio onirico che sospingerà l'animo oltre i confini tra parole e suono.

Un viaggio che è somma di due diverse forme di letture poetiche: quella, forse più naturale, fondata sulla parola recitata dei versi a cura di Del Gaudio cui si lega la sonorizzazione di Giannella, docente di Musica di sintesi presso il Conservatorio “Cimarosa” di Avellino.

Per la realizzazione delle musiche, il maestro si è avvalso di un linguaggio non tonale che potesse aderire, intrinsecamente, alle immagini sfuggenti e surreali di Campana.

Tutta la musica tonale è difatti retta da principi di tensione e distensione mentre nei versi del poeta fiorentino lo spazio si dilata e i riferimenti tendono a dissolversi. Tutto ciò è espresso attraverso brani di musica elettronica, altri per pianoforte e per pianoforte e violino.

Ci sono temi estrapolati dalla “Berceuse” di Chopin mentre in altri è preso in prestito il concetto dodecafonico di serialità shonbergiana. Uno stile contemporaneo alla “poesia nuova” del Novecento e che si fonda sullo stesso principio: lo sgretolarsi del linguaggio così com’era stato fino ad allora inteso.

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Pianista da bordello, contadino, pompiere, vagabondo, Dino Campana attraversa, appena diciottenne, l’Italia e si spinge in Russia e Sud America. Figlio di un maestro elementare, si iscrive alla Facoltà di Chimica, senza troppa convinzione. Cammina per anni sull'orlo del disturbo psichiatrico, conosce bene la mente di cui sonda i più profondi abissi.

Nel 1913, Campana affida a Giovanni Papini e Ardengo Soffici, autorevoli direttori della rivista “Lacerba”, un manoscritto che – subito perduto – verrà ritrovato solo negli anni Settanta. Ma lui, intanto, lo riscrive facendo appello a uno sforzo disumano di memoria. Nel 1914, lo pubblica, a sue spese, col titolo Canti orfici (Il più lungo giorno, originariamente), presso una stamperia del paesello natio.

«Su Campana – spiega il presidente della Fondazione Alfonso Gatto, Filippo Trotta – è stato scritto di tutto, persino questa nostra piccola produzione rischia di competere con un gigante come Carmelo Bene, che dei “Canti Orfici” ne fece una tormentata interpretazione, restituendo agli ascoltatori l'intatta poetica della narrazione fatta di visioni, esplosioni e cadute.

Oggi tornare a leggere i “Canti Orfici” significa innanzitutto riconoscerne l’assoluta modernità, ma soprattutto la consonanza con i temi della poesia contemporanea e le difficoltà di un poeta di vivere i nostri piccoli giorni. Dino Campana è su tutti il simbolo di questa immane difficoltà.

E non a caso una Fondazione intitolata ad Alfonso Gatto, che con l’amico Eugenio Montale calò la cassetta contenente le povere ossa di Campana nel loculo della cappellina di San Bernardo ai piedi del campanile della chiesa dell’Abbazia di Badia a Settimo, ha deciso di riproporre nell’anno del quarantennale della morte del poeta salernitano i “Canti” in questa bella veste grafica di Stefania Chieffi. Caso che non si riduce alle mere affinità stilistiche e umane tra i due grandi poeti.

Il nostro è un tentativo di fare emergere il verso clandestino che si cela nel dettato Campaniano. Un verso così espressivo da non sembrare mai studiato o lavorato. E tutto questo ben si legge nella straordinaria interpretazione di Roberto Del Gaudio, dettata dai tempi della musica di Maurizio Giannella che non è mai sottofondo o accompagnamento ma verso anch’essa».

Ciò che ne consegue è un progetto a metà tra il libro, il fumetto e il teatro. Uno sguardo caleidoscopico sulla convulsa poetica di Campana, un esperimento di “reading” creativo che dischiude ai neofiti la visionaria potenza del verso del “Matto di Marradi” e propone a coloro che già la conoscono una nuova ed originale lettura.

La Fondazione sarà presente, inoltre, mercoledì 22 e giovedì 23, nel cartellone di Salerno Letteratura che ospiterà il Premio Alfonso Gatto che quest’anno premia l'israeliana Dorit Weisman e l'italo-albanese Julian Zhara.

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