il caso

Trentaseienne muore in carcere a Fuorni, la moglie: «Non credo all'infarto»

Aperta un'inchiesta sul decesso di Alessandro Landi nella casa circondariale salernitana. La giovane consorte: «Aveva il viso gonfio e un grumo di sangue sulle labbra»

SALERNO. «Mi hanno detto che è morto d’infarto. Ma io non ci credo. Aveva il viso gonfio, due lividi sul collo e un grumo di sangue sul labbro. Non so cosa sia accaduto e voglio andare fino in fondo». Annamaria Vitolo, 38enne di Matierno, ieri mattina ha sporto denuncia in questura, chiedendo alla magistratura di fare chiarezza sul decesso di suo marito Alessandro Landi, 36 anni, morto ieri al carcere di Fuorni dove era detenuto da tre mesi per spaccio di droga.

«Poco dopo le otto, un carabiniere si è presentato a casa per dirmi di contattare immediatamente la segreteria detenuti, perché dovevano darmi delle comunicazioni urgenti. Quando ho telefonato, mi è stato detto che mio marito era deceduto dopo un malore avuto nella notte e che la salma si trovava all’obitorio del Ruggi – racconta la signora Vitolo – A quel punto mi sono precipitata in ospedale con mio figlio, Francesco Pio, mia sorella Gaetana e mia madre Angela». Medici e infermieri spiegano ai familiari del trentaseienne che l’uomo sarebbe morto di infarto in carcere intorno alle 2.40 di notte e che sarebbe arrivato già privo di vita al pronto soccorso intorno alle 7.30 del mattino.

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«Che cosa è successo durante queste ore? Non capisco perché abbiano fatto passare così tanto tempo prima di soccorrerlo – continua la vedova – Per questo mi sono rivolta a un legale per chiedere che venga fatta l’autopsia». Ad insospettire la donna, non solo la tempistica, ma soprattutto le condizioni in cui ha trovato la salma, quando finalmente è riuscita ad entrare in obitorio: «All’inizio non volevano farmi vedere mio marito – spiega – Poi, dopo aver contattato il 113, mi hanno fatto entrare con mio figlio. Mi è subito balzato agli occhi il labbro sanguinante e due lividi sul collo oltre che sul braccio. E poi il suo viso era livido e gonfio». L’ultima volta si erano visti venerdì: Alessandro sembrava in forma ed era sereno. «Gli avevo portato il baccalà per Natale – ricorda la moglie – mi è sembrato tranquillo ed era riuscito anche ad uscire fuori dalla tossicodipendenza grazie al metadone. Fisicamente stava bene, lo avevano anche assunto come idraulico per fare dei lavori all’interno del carcere. E neppure in passato ha mai sofferto di problemi cardiologici. Non capisco che cosa sia dunque potuto succedere, ma di certo non credo che sia morto per un arresto cardiaco».

La signora Vitolo non si sbilancia: «Una colluttazione? Non saprei. I lividi potrebbero essere compatibili anche con una caduta. Confido nell’operato dei magistrati e spero che mi possano aiutare a capire». La signora ha dunque sporto denuncia chiedendo la verifica della tempistica dei soccorsi: «Se è vero che mio marito è giunto in ospedale solo alle 7.30, mentre l’orario del decesso è alle 2.40, mi chiedo cosa sia accaduto in queste cinque ore e perché non l’abbiano trasferito prima al pronto soccorso. L’infarto è una patologia che impone la massima celerità. Ritengo che sia mio diritto capire se la morte di Alessandro poteva essere evitata oppure no. Lo faccio per me e soprattutto per nostro figlio».

Sarà ora l’autorità giudiziaria a stabilire la data dell’esame autoptico che dovrà fare luce sulle cause del decesso e anche sui tempi intercorsi tra il malore accusato dal detenuto e la sua morte. «Alessandro stava bene. Soprattutto nell’ultimo periodo aveva svoltato liberandosi dalla droga e trovando un lavoro all’interno della casa circondariale, con il quale mi aiutava ad andare avanti e a crescere il bambino. Non può essere capitato così, all’improvviso – sottolinea la signora Vitolo – E non avrò pace finché non sarò riuscita a capire come siano andate le cose. Spero che i magistrati mi aiuteranno a venirne a capo per non vivere per sempre con questo dubbio che mi tormenta».