Il caso

Tornano i fasci littori sul portale del Diana di Salerno

La facciata riprodurrà quella della Casa del Balilla del ’33. La giunta dà l’ok a progetto e finanziamento del terzo lotto

Quattro fasci littori stilizzati caratterizzeranno l’ingresso del Diana affacciato sul lungomare Trieste. Senza i due stemmi di Casa Savoia, che insieme alla classica iconografia di regime, decoravano il frontespizio della Casa del Balilla inaugurata dal principe ereditario Umberto e consorte, il 24 dicembre del 1931. Lo studio di architetti Asnova, guidato dall’architetto Nuccio Spirito, si è ispirato ad una foto d’epoca del 1933 per il terzo lotto funzionale di un più complesso intervento sull’ex cinema Savoia, presentato a Palazzo di Città a settembre e riproposto, a fine gennaio, dal Teatro Pubblico Campano, a cui è affidata la gestione di quello spazio.

La giunta comunale ha finalmente approvato il progetto definitivo ed esecutivo per il completamento dei lavori, stanziando oltre trecentomila euro per il rifacimento delle tre facciate (lungomare Trieste, est e sud), oltre che per la ristrutturazione dei locali ubicati al primo piano della palazzina, dove troveranno posto stanze a servizio della sala centrale e i servizi igienici. Il disegno, che ha avuto il via libera dalla Soprintendenza, guarda alla fase littoria di una struttura dove, seppure a fasi alterne, dai primi decenni del Novecento ad oggi, il cinema è sempre stato di casa. Come si evince dalla foto del ’33, a caratterizzare il portale, erano quattro lesene percorse da incassi verticali, nei quali trovavano posti i fasci del regime fascista. Che, seppure stilizzati, torneranno a vivere, spiega l’architetto Carmine Spirito, «per offrire un filo di continuità a quella memoria storica a cui ci siamo ispirati».

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La facciata - che tra l’altro è sottoposta a vincolo di tutela dal Codice dei beni culturali - dovrà dunque ricordare il più possibile, anche attraverso un gioco di colorazione bianche per gli elementi sporgenti e di rossi per i pannelli incassati, l’ingresso della vecchia Casa del Balilla. La scelta potrebbe aprire in città un nuovo dibattito sull’opportunità o meno di reinserire un codice che, nell’accezione comune, rimanda all’istituzione, da parte di Mussolini, dei Fasci italiani di combattimento, sulle ceneri del discorso rinunciatario di Bissolati e con la diffusione dello slogan “Fiume e la Dalmazia italiane” tra gli ex interventisti. Fu in quegli anni, infatti, che il fascio di bastoni di legno legati con strisce di cuoio, divenne il “logo” della dittatura di Mussolini.

Ma è pur vero che prima ancora dei gerarchi, quell’immagine nota a partire dall’età regia dell’antica Roma, come simbolo del potere del re, ha caratterizzato gruppi politici radicali e movimenti socialrivoluzionari, in particolare in Sicilia, dove i Fasci siciliani, diventarono il vessillo della libertà conquistata con il sangue e con i denti, dai lavoratori della terra che rivendicavano i propri diritti. Seguirono poi i fasci nazionalisti dell’Unione sindacale milanese ed i Fasci d’azione rivoluzionaria internazionalista, composti da esponenti dell’estrema sinistra, repubblicani, sindacalisti agguerriti e dagli irredenti giuliani, dalmati e trentini. Ma forse, delle lotte dei contadini siciliani il ricordo è meno vivido rispetto all’oscurantismo del regime. E così, per quanto stilizzati, è facile pensare che i nuovi fasci salernitani possano fungere da detonatore per una nuova querelle, a metà tra urbanistica, storiografia e ridisegno delle cifre stilistiche che, tra vecchio e nuovo, contribuiscono a ridefinire l’identità della città e dei suoi abitanti. Prima di vederli, in ogni caso, occorrerà aspettare del tempo. La delibera di giunta è del 13 febbraio. Si attende ora l’appalto dei lavori.

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