Ex Diana, si rialza il sipario

A marzo riapre l’antico cinema Savoia, divenuto poi Casa del Balilla e sala a luci rosse

Marzo 2015. Interno/Giorno. Ai lati, pareti mobili progettate come teli cinematografici su cui proiettare video. Di fronte, una gradonata telescopica retrattile per accogliere duecento spettatori. In alto, un tetto disegnato da capriate in legno a vista, enfatizzate da un sistema di ring mobili per regalare l’effetto di una illuminazione da studio televisivo. Finalmente il teatro contemporaneo trova casa: l’ex cinema Diana di lungomare Trieste.

Dopo quasi sette anni, tra poco più di un mese, il sipario si alzerà, ancora una volta, su uno schermo che in un secolo si è lasciato attraversare da una bobina fatta di lacerti di storia cittadina. Come il montaggio di baci censurati da don Adelfio, e regalati da Alfredo a Salvatore in Nuovo cinema Paradiso, dagli archivi della memoria spunta il bianconero dei kolossal americani, negli anni in cui Hollywood esplose con la sua United Artists. Sono i primi decenni del Novecento, e quell’edificio che di qui a breve sarà trasformato nel Palazzetto del turismo e della cultura, si chiamava cinema Savoia, «la sala dove i salernitani, entusiasti e numerosi, scoprirono la magia della cinematografia», spiega Francesca Spirito, che con il papà Carmine e il collega Roberto Cacciatore, sta lavorando al restyling. Il Savoia non ebbe però vita lunga e fu cancellato per ospitare la Casa del Balilla, inaugurata dal principe ereditario Umberto e consorte, il 24 dicembre del 1931. Il fascismo bussava alle porte, e quel vecchio padiglione in legno che aveva alimentato con la celluloide i sogni di generazioni, fu travolto dal dibattito che si aprì in città su come «apparecchiare il suolo», per citare l’ingegnere capo del Real Corpo del Genio Civile.

L’esclusiva non spetta dunque al Crescent, perchè di fronte del mare e linea di costa, si parlava già, e con toni altrettanto accesi, tra gli anni Venti e Trenta, quando il degradato Savoia dovette avere il sapore di un cazzotto nello stomaco rispetto allo skyline di palazzo Sorgenti, palazzo Edilizia, le scuole Barra, che si affacciava sul nuovo lungomare Trieste ripavimentato «con materiale asfaltico che compariva per la prima volta in Salerno». E così nel dicembre del 1930, fu approvato il progetto della Casa del Balilla, firmato dall’ingegnere Giuseppe Giuia. L’obiettivo di allora era simile a quello di oggi: «dare un carattere polivalente alla sala centrale», ricorda Vincenzo Dodaro in “Salerno durante il Ventennio”. «Non mi piace parlare di sala polifunzionale - spiega l’architetto Nuccio Spirito, “anima” del complesso intervento - però quello che abbiamo realizzato per il Teatro Pubblico Campano è uno spazio che si presta ad accogliere la creatività a 360 gradi, dal video teatro, grazie alla possibilità di proiettare su 46 metri per sette di altezza, alla prosa, dai congressi alle mostre, visto che la tribuna è retrattile, cioè può completamente scomparire per consentire di avere un open space. Inoltre, data la vicinanza con lo scalo portuale, durante il giorno può essere pensato come info point turistico». Una destinazione, quest’ultima, che l’ex Diana ha avuto fino agli anni Novanta, ospitando gli uffici di Ept ed Urp (poi trasferitisi) e quelli dell’Azienda di soggiorno e turismo, ancora presenti nel corpo di fabbrica limitrofo alla Casa del Combattente, la cui cifra stilistica ha dialogato per oltre un decennio con i fasci littori della Casa del Balilla.

Asce e bastoni stringati sparirono già nel dopoguerra, quando l’ex Savoia tornò alla sua funzione originaria, quella di cinema, in una fase storica -gli anni Cinquanta - in cui erano le pellicole a raccontare la vita della gente comune, con profondità, potenza e grazia che fecero scuola in tutto il mondo. «I ’60-’70 furono quelli del cinema d’essai - racconta ancora Spirito - Ricordo di avervi visto molte pellicole di Pasolini». Poi il declino, perchè come tenta di spiegare Spaccafico a Totò in Nuovo cinema Paradiso, «non veniva più nessuno. Lei lo sa meglio di me. La crisi, la televisione, le cassette...». E così, per tenerlo in vita, il Diana diventò il cinema porno nel salotto buono della città, uno spazio di “ricreazione” erotica con affaccio sul mare, frequentatissimo fino alla diffusione di massa di Internet, che ha reso il sesso -in tutte le sue declinazioni- alla semplice portata di mouse. Il resto è storia recente: sul finire degli anni ’90 la Regione, proprietaria dell’edificio, ha concesso al Comune l’uso della sala centrale e del piano terra del corpo di fabbrica ad est per le attività del Teatro Pubblico Campano. Che dopo il taglio del nastro di marzo, giò a ottobre partirà con un nuovo cartellone dedicato all’avanguardia.

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