Il caso Fonderie

«Senza fabbrica ritorna l’inferno»

Alcuni operai delle Pisano hanno già vissuto altre esperienze di chiusure e licenziamenti

SALERNO. «Sono un semplice operaio ,ne sono fiero. Ho sempre lavorato nella mia vita e non mi sono mai lamentato, né tirato indietro nel rimboccarmi le maniche e nello sporcarmi le mani». È solo l’incipit di una delle tante testimonianze che i lavoratori delle Fonderie Pisano stanno lanciando sulla pagina facebook dedicata alla loro lotta. «Gli ultimi anni non sono stati facili – scrive Raffaele Arienzo, dipendente delle fonderie e marito di Angela Petrone, la donna che un mese fa ha iniziato la sua battaglia incatenandosi ai cancelli dello stabilimento – Perché mentre mia moglie era in sala parto e nasceva la mia terza figlia, in quello stesso giorno perdevo il lavoro. Lavoravo all’Ideal Clima e il mondo in quel momento mi crollò addosso. Dopo tanti sacrifici e lavoretti per tirare avanti, le Fonderie Pisano mi hanno dato la possibilità di guardare al futuro; finalmente, dopo 5 anni di purgatorio, potevo ambire a una realtà di lavoro stabile, o almeno così avevo sperato». Poi il baratro e il ritorno di un vecchio incubo: «Qualcuno ha deciso che il mio lavoro vale poco o niente, che la mia vita lavorativa dovesse essere considerata sporca e puzzolente, in una città dove anche una grande azienda che il lavoro ce l’ha, deve chiudere! Voglio un futuro per me e le mie bambine e lo chiedo a chi può far sì che le mie mani possano continuare ad accarezzare le loro testoline con dignità, e con l’amore di un papà che non sarà mai stanco e che non vuole niente in regalo, ma solo lavorare».

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Di lettere ne sono comparse tante: da Francesco Zito a Manfredi Iengo, Domenico Volpe, Rino Gaeta, Daniele Musto e tanti altri. Tutte con storie diverse ma con un esito tristemente simile: «Ho 50 anni – scrive Angelo Clemente, che è anche rappresentante sindacale – Dal 5 dicembre 1990 lavoro presso le Fonderie Pisano come mio padre. Spesso lo andavo a trovare in fabbrica e rimanevo sempre stupito nel vedere la familiarità che c’era tra gli operai e i cosiddetti “padroni”, che non si vergognavano a lavorare al fianco dei loro dipendenti, pronti ad aiutarsi e a bere dalla stessa bottiglia. Ogni volta che andavamo in qualche grande città, si emozionava guardando un tombino sulla strada e diceva tutto fiero: “Questi li abbiamo fatti noi. Salerno riesce a lasciare la sua firma su tutte le strade più belle del mondo”. Oggi invece ci sentiamo afflitti, abbiamo paura di non poter far crescere i nostri figli e le loro giuste aspirazioni, di non poter più pagare il mutuo o le bollette. Ci avete fatto fuori con l’accusa di essere assassini, con un terrorismo verbale che ci ha dipinti agli occhi della società come mostri. Ci avete fatto fuori con scelte politiche perpetrate negli anni e con la speranza che la grande crisi economica vi facesse il favore di spazzarci via. Ci avete fatto fuori con lo scegliere di non compiere una scelta seria e costruttiva che avrebbe dato l’opportunità a tanti giovani nel nuovo stabilimento delle Pisano». (e.d’a)

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