L’editoriale

Se l’appalto è sinonimo di sperpero

Non c’è solo la colossale vergogna delle Fonderie Pisano a ricordarci quanto possa essere devastante il ruolo di chi muove le leve del potere senza guardare avanti

Non c’è solo la colossale vergogna delle Fonderie Pisano a ricordarci quanto possa essere devastante il ruolo di chi muove le leve del potere senza guardare avanti, senza pensare all’interesse comune privilegiando invece la più semplice strategia della conservazione di poltrone, poltronifici e annesse fabbriche del consenso fatte anche di cordoni molli nella gestione delle casse pubbliche.

L’esempio migliore è uno tra i più freschi offerti dalla cronaca. Accade a Salerno ma non è certo un caso isolato, a queste e ad altre latitudini: anzi. E pesca a margine dell’udienza preliminare poi rinviata a proposito di una vicenda giudiziaria legata ai lavori di piazza della Libertà, quella davanti all’ecomostro Crescent per capirci meglio. In questo momento non si tratta però di discutere della bontà o meno della scelta di realizzare quell’opera, lasciamo da parte le considerazioni su tale aspetto. E anche quelle sull’epilogo giudiziario della stessa, perché che siano processate o no le 27 persone sotto accusa per falso, sul piano morale c’è comunque un aspetto molto grave da prendere in considerazione. E cioè che si sia prima appaltato un lavoro così complesso per una cifra non di poco conto (29 milioni) e poi ci si sia accorti che in una piazza sul mare, scavando, si possa trovare dell’acqua. E che da tutto questo nasca la necessità di deliberare a cuor leggero una variante al progetto, che altro non è che un ulteriore aggravio di spesa, in questo caso per una somma (otto milioni) pari a poco meno di un terzo del totale.

Non ci sono vie di mezzo: o è colpa del progettista o di chi ha pensato a un appalto come questo senza prendere in considerazione tale eventualità.

Ma è ancor più grave la politica complessiva della gestione del denaro pubblico, di come si possa accordare un rialzo così considerevole a cuor leggero. E come, al contempo, per i lavori di quel complesso l’ente pubblico si “dimentichi” di chiedere gli oneri di urbanizzazione (altri sei milioni) e che debbano essere i giudici contabili a costringere a farlo. Il tutto condito dall’immancabile ricorso del costruttore che, oltre a far la voce grossa, riesce a veder riconosciute le proprie ragioni con il Palazzo di Città praticamente prono e silente.

Senza contare poi i soldi utilizzati per acquistare l’area dal Demanio (11 milioni) quando sarebbe bastato aspettare due anni per averla gratis.

Così, a spanne – mettendo tutto insieme – su questa operazione c’è ben più di una ventina di milioni in soldi pubblici buttati dalla finestra, quelli che per far conto pari hanno portato alla vendita di uno dei gioielli della famiglia pubblica, la Centrale del latte. Certo non il modo migliore per il presidente della Regione, Vincenzo De Luca (che all’epoca dei fatti appena menzionati era sindaco di Salerno), per dare forza a una serie di battaglie – in parte anche più che condivisibili – a proposito di riforma dei porti e, soprattutto, di nuovo codice degli appalti. Prima di ogni altro passaggio, però bisogna per forza far finta di sorvolare sul piccolo particolare che lo scontro del presidente della Regione è con un governo (anche) del suo stesso partito e che bisognerebbe capire bene come si possa al tempo stesso rappresentare due parti nella commedia fra chi sceglie di esser di lotta e chi di governo.

E, una volta superato questo scoglio, è necessario mettere insieme anche le critiche che l’associazione di costruttori salernitani Aies muove anch’essa al nuovo codice degli appalti. Ci sono indubbie storture, come ad esempio quella relativa all’obbligo per un ente pubblico di procedere, anche per opere non di grande rilievo, con la (costosa) progettazione esecutiva senza avere certezze sulla finanziabilità della stessa.

Ma queste critiche cozzano con la credibilità di chi non si è battuto con analoga convinzione per evitare che molte imprese abbiano in organico più avvocati che ingegneri, che ogni appalto diventi motivo di conflittualità e che quasi ogni occasione sia buona per cercare rialzi di costi o varianti in corso d’opera, vero cancro delle opere pubbliche. Messe assieme alle critiche del presidente-ex sindaco possono far pensare anche a nostalgie per il “tutto buono” del passato. Così certamente non sarà ma è indubbio che è molto facile alimentare la corrente dei cattivi pensatori.

Sulla base di tutto questo, in chiusura un pensiero doveroso per due sindaci appena eletti, Gianfranco Lamberti (Montecorvino Pugliano) e Cecilia Francese (Battipaglia) che hanno ereditato casse pubbliche particolarmente dissestate grazie al comportamento ben poco virtuoso (o peggio) di loro predecessori. Pronti via ed è subito salita, pesante: per loro e, purtroppo, anche per i cittadini di quei comuni. In attesa di poter giudicare serenamente e senza sconti il loro operato, almeno una qualità va loro riconosciuta: il coraggio.

twitter: @s_tamburini