Salerno

San Matteo, la difesa dei paranzieri: "Non siamo camorristi"

Pronti a farsi interrogare gli indagati per la deviazione della processione e le giravolte delle statue nei luoghi degli agguati ai boss.

Sono increduli, e molto dispiaciuti, per essersi ritrovati coinvolti in un'inchiesta che oltre a gettare sul più sentito, partecipato e atteso evento salernitano un'onta infamante, li addita come simil nostalgici delle guerre di camorra, tanto da andare a omaggiare, imponendo delle soste strategiche ai busti portati in processione, i luoghi in cui alcuni dei personaggi più noti della malavita organizzata cittadina degli anni Ottanta e Novanta furono trucidati. All'indomani della notifica degli avvisi di conclusione delle indagini recapitati a venti salernitani - tra i quali compaiono diversi portatori delle statue del Santo patrono e di San Giuseppe accusati di turbamento di funzione religiosa, nonché un folto numero di partecipanti alla processione, alcuni molto vicini agli ambienti della tifoseria granata, ai quali si contesta invece il vilipendio di un ministro di culto - l'attenzione è tutta rivolta a quelle righe contenute nei capi d'accusa in cui il procuratore Corrado Lembo e il sostituto Francesca Fittipaldi interpretano le "girate" dei santi, negate dal vescovo Moretti ma imposte con la forza dai portatori nella processione dello scorso 21 settembre, in piazza Portanova, piazza Cavour sul lungomare e sul corso Vittorio Emanuele, all'altezza di via Arce, come "inchini"ai boss uccisi. Nel primo luogo finito sotto la lente di ingrandimento della Procura, nel 1996 fu ucciso Berardino Grimaldi, in piazza Cavour; dove a San Matteo scorso fu messa in scena la protesta più eclatante con i santi poggiati addirittura per terra, fu trucidato nel 2002 il fratello di Grimaldi, Lucio, detto 'O vampiro, mente la giravolta fatta tra via Velia e via Arce per gli inquirenti potrebbe essere ricondotta all'omicidio di Lucio Esposito, genero di Consolato Grimaldi, assassinato nel '98 in un circoletto di Porta Rotese. A portare il peso di queste accuse, molto meno sopportabile di quello delle statue dei santi, sono quattro membri delle paranze: Raffaele Amoroso, Consolato Esposito, Domenico Alfieri e Raffaele De Martino i quali, difesi dall'avvocato Cecchino Cacciatore, potrebbero decidere nei prossimi giorni, una volta acquisite dal loro legale tutte le carte, di farsi interrogare per chiarire la loro posizione e per cercare di evitare di finire sotto processo.

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Decisivi sarebbero stati i filmati mandati in onda in diretta da Telecolore nella serata del 21 settembre scorso, e poi acquisiti dalla Scientifica, nonché i video girati dagli stessi agenti della Digos che hanno scortato la processione dello scandalo. Attraverso il loro avvocati, Ciro Romano e Mario Valiante, alcuni di loro si sono detti «Molto meravigliati ma ben consapevoli di essere finiti al centro di un procedimento penale che va affrontato con serietà»; sebbene - ha sottolineato Romano - «ci sia molta bizzarria nel fatto complessivo». Per gli altri indagati - Giovanni Di Landri, Gianluca Vitale, Carlo Cuoco, Guglielmo Pagano, Rossella Pullo, Riccardo De Angelis, Palmarino Oliva, Maria Cristina Tortorella, Mario Ferrara, Antonino Amati, Mario Barra, Maria Rosaria D'Agostino, Veronica D'Agostino, Antonio Simone, Gerardo De Simone e Gianluca Mutarelli - è ipotizzato soltanto il reato di aver offeso, come il codice penale vieta, il vescovo di Salerno, Luigi Moretti, in diversi momenti della processione.
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