L’EDITORIALE

Salerno e le Fonderie fra malapolitica e salute calpestata

È una partita con il trucco, anzi con molto più di un trucco, quella che si gioca intorno alle Fonderie Pisano e sulla pelle di 120 famiglie che rischiano di restare senza stipendio e di molte di più che potrebbero ritrovarsi ancora circondate da aria maleodorante e ben poco salutare spacciata per emergenza provvisoria

È una partita con il trucco, anzi con molto più di un trucco, quella che si gioca intorno alle Fonderie Pisano e sulla pelle di 120 famiglie che rischiano di restare senza stipendio e di molte di più che potrebbero ritrovarsi ancora circondate da aria maleodorante e ben poco salutare spacciata per emergenza provvisoria.

Sì, perché a puzzare qui non è solo ciò che si è respirato per anni e anni (fin troppi) a Fratte e dintorni. Qui il cattivo odore invade scelte urbanistiche, faide politiche e imprenditoriali. Ed è quello che provano a non dirti a dover preoccupare non solo i lavoratori e gli abitanti di quelle zone ma anche tutti quelli che hanno a cuore gli interessi di una collettività che va oltre i confini cittadini di Salerno.

L’ultimo trucco, in ordine di tempo, sta nel fatto di voler presentare come un’emergenza la chiusura per inquinamento di una fabbrica, disposta sì dalla magistratura ma dopo anni di omissioni, bugie, analisi e autorizzazioni farlocche. No, non è un’emergenza: siamo arrivati a questo dopo che per vent’anni si è lasciato fare, si è lasciato che intorno alle Fonderie venissero costruite altre abitazioni in nome e per conto di scelte urbanistiche che nella migliore delle ipotesi sono state scellerate. Ma non solo, si è permesso alla proprietà di andare avanti addirittura senza la certificazione antincendio.

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Sì, proprio la certificazione antincendio: gravissimo ovunque, figuriamoci in una fonderia. Peraltro anche con la complicità di un sindacato silente, ridotto a poco più che ufficio stampa dell’azienda. E che di fatto ha danneggiato prima di tutto i lavoratori, degradandoli a strumento dei Pisano.

In tale clima, per i titolari della fabbrica è stato facile promettere gli interventi di risanamento e farli praticamente mai. Peraltro su un impianto che ha già compiuto 55 anni, roba da preistoria industriale. E in più le varie giunte comunali di Salerno hanno accettato trattative che sarebbe meglio definire baratti legati a valanghe di cemento (abitazioni) da costruire in quell’area e in cambio dello spostamento della Fonderia. Promesso più volte e mai accennato concretamente se non in quest’ultima fase, quando era impossibile non farlo. Tutto si reggeva su un compromesso silente: tu dai lavoro a un bel po’ di persone, io magari qui pesco voti a piacimento e va bene così.

Poi però a un certo punto in quella zona sono spuntati altri insediamenti. Uno in particolare nell’area delle ex cotoniere ha mutato gli equilibri: avere quel vicino di casa fin troppo ingombrante non era poi così bello e l’idillio politico si è rotto. Anche perché i legami fra il titolare di quel centro commerciale e chi conta in politica sono altrettanto forti rispetto a quelli intercorsi con i titolari delle Fonderie.

E così all’improvviso o quasi anche le indagini, i rilievi dell’Arpac hanno potuto offrire alla Regione l’arma per due successive chiusure temporanee e alla magistratura quella di poter mettere i sigilli, visto che i cartellini gialli non hanno sortito effetti. Sì, perché nel frattempo si era scoperto che quell’impianto – oltreché inquinare – andava avanti senza autorizzazioni o con autorizzazioni farlocche e che anche alcune autocertificazioni erano mendaci. Tutte cose, queste, che negli ultimi anni la Città ha puntualmente denunciato, al pari di una drammatica coincidenza di decine e decine di morti sospette, di altrettante malattie seriali concentrate a tiro di camino nei dintorni di quelle Fonderie, dando spazio all’opera meritoria e di sensibilizzazione di due comitati di cittadini intorno ai quali si sono raccolti familiari di morti e ammalati che potrebbero avere molto a che fare con quelle emissioni. I sindacalisti dicono che non ci sono prove certe, ed è vero ma è innegabile che quella fabbrica non è in regola, inquina e che tutta quella scia di lutti e di malattie meriterebbe un maggiore rispetto. Da parte di tutti.

leggi anche: Salerno e le morti sospette: quelle vittime chiedono giustizia Spuntano nuovi casi, la segnalazione dopo la lettura dei giornali. Fra chi voleva parlare ora c’è chi si tira indietro. Intorno a questa storia non tira una bella aria, in tutti i sensi. Alla base dei ritardi e delle omissioni l’ombra delle scelte urbanistiche. Altri quattro racconti strazianti

Si è arrivati così agli ultimi mesi con la favoletta della delocalizzazione e della bonifica delle aree della fabbrica. Favoletta, appunto. Volendo, le condizioni per realizzare un nuovo impianto ci sono da almeno dieci anni ma si è arrivati a scegliere in fretta un’area all’insaputa del sindaco del Comune interessato e senza certezze su tempi e modi. E con una condizione capestro non da poco: riaprire l’impianto di Fratte nell’attesa del nuovo. Se va bene, almeno due anni, sempre che nel frattempo non sopraggiungano altri ostacoli. La parola sulla riapertura a Fratte spetta alla magistratura che dovrà basarsi sui rilievi effettuati di recente dopo alcuni interventi di “rattoppo” di quegli impianti concepiti quando l’uomo non era ancora stato sulla Luna.

Facile immaginare che un no alla riapertura possa portare la proprietà a dire che è “costretta” a chiudere, così come per un sì forzato e osteggiato dai comitati e dal buon senso. In ogni caso, sarebbe la precostituzione di un alibi per un disimpegno in nome delle commesse perdute.

A questo punto c’è una sola strada per salvare lavoro e salute. Prendere il buono di questa trattativa, far avere ai lavoratori tutti gli ammortizzatori sociali permessi dalle leggi e salvaguardare il loro posto di lavoro, appaltare a terzi le commissioni e procedere spediti con la realizzazione di un nuovo impianto, rispettando le regole. E poi ripartire con metodi e approcci ben diversi dal passato. Certo, c’è da rimetterci qualche soldo ma dopo tutti quelli guadagnati nei decenni (tantissimi) è il minimo che si possa fare come atto di riguardo e risarcimento verso una comunità saccheggiata del bene più caro: la salute.

twitter @s_tamburini

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