L’EDITORIALE

Salerno e la politica del marchese del Grillo

Storie di speranze perdute e di diritti negati. Tutto questo ben si nasconde dietro ai disservizi che stiamo raccontando in questi giorni: sanità,viabilità e qualità del mare in testa. Dietro c’è l’atteggiamento dello struzzo o del menefreghista, tanto poi va bene così. Si tende a creare una stato di necessità, per concedere a chi ha da pietire

Sono storie di speranze purtroppo perdute, sono conflitti con ladri di diritti quelli che stiamo raccontando in questi giorni d’estate in cui certe cose si vivono ancor più sulla pelle. Storie di treni da far west, di ospedali senza servizi o senza medici, di strade che andrebbero bene forse solo per i muli, di scarichi illegali in mare e di tanti, troppi, che si voltano dall’altra parte. Accade anche per cose solo apparentemente banali come il degrado urbano sempre più dilagante specie nelle zone meno “in vetrina”. E accade con la politica incredibilmente con gli occhi sbarrati come se fosse colpa di qualcun’altro. È la strategia dello struzzo, di chi non fa o peggio ancora permette che le derive portino al peggio sperando che le colpe siano spedite a indirizzi lontani. A Salerno lo si potrebbe definire il metodo Fonderie Pisano, vent’anni sciagurati fatti di case che sorgono dove non si dovrebbe neanche ipotizzare di farlo, accanto a un impianto da archeologia industriale, che è lì e non dovrebbe neanche più esserci perché inquina terribilmente ma i rilievi sono spesso taroccati. E in più o è senza autorizzazioni o quando ci sono o sono false o si basano su presupposti fasulli alimentati ancora dalle istituzioni che assistono impassibili a una lunga scia di lutti e di malattie.

Certo, lutti e malattie tutti formalmente ancora da collegare ma dilagati nel disinteresse generale, risvegliato solo dall’opera meritoria dei comitati dei cittadini.

Cos’altro non è questa, se non la politica che si ispira al marchese del Grillo, quello del film con Alberto Sordi e della famosa frase «Perché io so’ io e voi nun siete un cazzo!». Ciò che con altre parole e con altri fatti ci dicono ogni giorno da quasi tutti i palazzi del potere. Quelli popolati dalla stessa politica che assiste silente e poi si stupisce quando si arriva al dunque, ai sigilli della magistratura supplente a un potere che non ha fatto niente, anzi di fatto si è reso compartecipe del peggio. Tornando alle Fonderie Pisano, ormai siamo ai sigilli che stanno per portare ai licenziamenti di quasi 150 lavoratori e al disastro sociale per altrettante famiglie illuse da un sindacato silente, dagli amministratori locali che adesso fanno finta di far la voce grossa e invece ben che vada sono complici del disastro. Per quei lavoratori speriamo solo che i prossimi giorni regalino un colpo di ingegno nei palazzi del potere. Altrimenti sarà una rapida deriva verso il peggio.

Tutto ciò non è un’esclusiva salernitana, ci mancherebbe. Ma da queste parti la storia degli ultimi giorni – purtroppo molto spesso uguale o peggiore a quella degli anni precedenti – ci insegna che all’assuefazione e alla rassegnazione ogni tanto segue un sussulto di orgoglio ma poi ci si arrende e si pensa che non si possa vedere cambiare mai niente.

Comprensibile, eppure fin troppo sbagliato. Perché è il silenzio il principale alleato di chi gestisce il potere per il potere, di chi pensa e dice sempre «che in fondo non è un problema mio, tocca ad altri...». E del resto è sempre andata così, con chi taglia i servizi ospedalieri e promette di ripristinarli a ridosso delle elezioni ben sapendo che non potrà farlo, con chi permette che sindaci ben poco lungimiranti continuino a servirsi di depuratori inefficienti o, peggio ancora, a costruire condotte sottomarine per scaricare in mare i liquami così come sono all’origine. Solo che il mare non ha confini e talvolta – grazie alle correnti, alla burrasca o a un guasto – restituisce tutto allo sciagurato mittente. E allora sì che il mare si colora di marrone e ci fa capire quanto sia sciocco tale approccio ai problemi.

Per non parlare di strade e ferrovie, roba da terzo mondo che fa indignare anche un ex presidente di Regione trovatosi per caso a recitar la parte del cittadino comune. E così può capitare che si accorga quanto male abbia fatto chi – come lui – ha permesso tutto questo. Ad esempio, facendo sì che da Napoli in giù sulla rete ferroviaria girino vagoni che da Napoli in su non vogliono più vedere da anni. Insomma, come gli abiti smessi dei fratelli maggiori degli anni Sessanta. Solo che qui non è più neanche un rapporto tra fratelli. Qui è l’assuefazione al peggio che rappresenta il nemico più fedele di chi si è arreso ancor prima di battersi.

Perché è in questo contesto di diritti negati che si trasformano in favori da chiedere o, peggio ancora, da pietire che la politica feudale dei rimandi infiniti vive e prospera. Per quella che va fuori contesto o anche fa capire di poterci andare, poi ci sono le buste con le pallottole che non a caso arrivano anche quando c’è da risolvere una grana di appetitosi appalti legati alla riabilitazione fisica e di lavoratori che da mesi sono senza stipendio. A quelli delle pallottole di queste persone, di queste famiglie, poco importa. A loro serve spolpare l’albero della cuccagna dei soldi pubblici in barba alla qualità e alla dignità delle vite degli altri.

Per questo alla fine è ancor più inaccettabile che chi dovrebbe dare spiegazioni parli sempre da pulpiti senza domande, di fronte solo a una telecamera o a compiacenti reggitori di microfono che invece di far domande servono solo assist per la vuota propaganda che si fonda sullo stato di bisogno. Perché è nello stato di bisogno che personaggi così prosperano e crescono. In fondo anche questo fa parte del rito della politica dello struzzo o del marchese del Grillo. Rappresentato da venditori del niente che però e purtroppo sanno farlo molto bene.

twitter: @s_tamburini

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