L’EDITORIALE

Impresentabili: quando la politica è schiava degli affari

Nelle liste elettorali candidati condannati per spaccio, rapina, bancarotta e riciclaggio: Battipaglia diventa un caso nazionale ma già lo era grazie a una storia poco incline al candore e a tutta una serie di retroscena che è il caso di rivedere con attenzione

Certo, sul piano politico Battipaglia non è da tempo luogo da sagra del candore. Il lungo commissariamento e lo scioglimento del consiglio comunale del 28 marzo 2014 per infiltrazioni mafiose da soli sono sufficienti per mettere in fila una lunga scia di sospetti preventivi. Peraltro rinforzati dalle polemiche che da settimane infiammano una campagna elettorale dove non si hanno certezze sul “chi stia con chi”, a destra come a sinistra.

E dove quelli del Pd non si fidano di quelli del Pd, con accuse di tradimenti intestini anche ad alti livelli. Senza considerare poi che i più sono convinti che il presidente della Regione, Vincenzo De Luca, non appoggi il candidato del suo partito ma uno di quelli dello schieramento opposto.

Da solo questo quadro potrebbe esser sufficiente per tenersi alla larga. Ma è la lettura delle carte della commissione parlamentare Antimafia, presieduta da Rosy Bindi, a far accapponare la pelle.

Sette dei 14 impresentabili segnalati dalla commissione vengono da qui e si annidano all’interno di liste civiche che lasciano formalmente i partiti al riparo da rischi diretti ma – secondo l’Antimafia – «rappresentano un varco per le cosche». Peraltro, oltre ai sette finiti nella lista nera, pur senza farne i nomi, l’Antimafia segnala anche altri candidati a rischio. Uno è stato salvato dalla prescrizione per abuso d’ufficio e un altro è accusato di aver rivelato segreti investigativi a un indagato. Infine ci sono segnalazioni di parentele o frequentazione di persone coinvolte in indagini di criminalità organizzata, alcune delle quali anche arrestate.

Ma è sui sette impresentabili che va focalizzata l’attenzione maggiore: sono distribuiti su ogni schieramento principale, quasi a garanzia di copertura sempre e comunque in caso di vittoria. I reati per i quali sono stati condannati in via definitiva vanno dalla cessione illecita di sostanze stupefacenti alla bancarotta fraudolenta, dal riciclaggio alla rapina, dalla violenza privata alle lesioni dolose. Un vero e proprio campionario del malaffare, alimentato da un contesto sociale ormai inquinato alle radici. Dove il peggio è dietro ogni angolo, a rendere difficile la vita delle persone perbene.

Perché, sempre secondo quanto rilevato dall’attività ispettiva dell’Antimafia, a Battipaglia molte attività dell’amministrazione locale «non sono in linea con i principi di trasparenza». Si parla di «condotte anomale finalizzate a favorire gli interessi di esponenti della locale criminalità organizzata».

C’è poi la gestione dei rifiuti, finita in mano a una società partecipata il cui presidente «era strettamente legato a un esponente delle locali organizzazioni camorristiche».

Per non parlare dell’abusivismo edilizio, diventato regola non scritta, «con gli imprenditori edili divenuti la classe sociale più influente sulla vita amministrativa». «Assieme ai tecnici – prosegue l’Antimafia – condizionano le scelte amministrative» rendendo a stato di servitù la politica locale.

Ecco, è questo lo snodo di base, quello dal quale discende tutto il peggio che poi arriva dopo. È rendere la politica schiava di finanziamenti e consensi da chi ha in mano le leve del flusso di denaro, degli investimenti. Quando la politica va a rimorchio del mattone è lì che cominciano a complicarsi le cose, a far sì che nel cesto comincino a piovere le mele marce e a rendere impossibile la vita di quei frutti sani che, volendo, ci sarebbero ancora.

Ed è una riflessione da fare anche per quelle zone ancora apparentemente sane, non troppo lontano da Battipaglia. Dove a dettare legge sono quelli che colano cemento solo per far soldi, per fare altri soldi e altri soldi ancora. Senza tener conto, anzi in pieno disprezzo dell’interesse comune.

Come se ne esce? Difficile dirlo, perché se il peggio si annida già nella scheda elettorale e nei sostegni occulti (politici e non), ecco che non è semplice avere parole di speranza. Guai però a instillare nel vocabolario del bene comune, qui e ovunque, il verbo arrendersi. È proprio quello che vorrebbero gli impresentabili e i loro amici.

twitter: @s_tamburini

©RIPRODUZIONE RISERVATA