Il presidente della Regione Campania. Vincenzo De Luca

L’EDITORIALE

I soldi di tutti e le mance per gli amici

Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana si delinea sempre più chiaro (e non tanto limpido, per la verità) il sistema di potere che da queste parti da anni alimenta se stesso. Una vera e propria macchina del consenso armata di disinformatja e fumi dissuasori e illusori. Basta far capire che chi è dalla parte giusta ha da guadagnare e che gli altri si arrangino...

Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana si delinea sempre più chiaro (e non tanto limpido, per la verità) il sistema di potere che da queste parti da anni alimenta se stesso. Una vera e propria macchina del consenso armata di disinformatja e fumi dissuasori e illusori. La campagna elettorale, quando c’è, è poca cosa, è un orpello, una specie di sagra delle illusioni, messa in piedi dal Capo dei capi, perenne medaglia d’oro ben poco olimpica del lancio del messaggio. Talvolta un po’ subliminale e molto spesso abbastanza esplicito. Perché il più è già stato fatto prima e sarà fatto dopo.

La sostanza è sempre quella: stai con noi che ti conviene. Capita con gli abusi edilizi e il messaggio che passa è: tanto non si farà male quasi nessuno. In realtà a non farsi male sono più o meno sempre gli speculatori che da decenni fanno man bassa di territori e risorse.

leggi anche: Il presidente della Regione, Vincenzo De Luca, e il sindaco di Salerno, Vincenzo Napoli Salerno: il re sole e il secondo cittadino È uno strano Palazzo, quello del Comune di Salerno, dove si esercita un potere per conto terzi, dove chi c’era prima continua a fare il sindaco e il suo successore non è un primo ma un secondo cittadino. È la concezione proprietaria del potere che fa interpretare il consenso come una cambiale in bianco. E tutto questo al vecchio sindaco piace da matti

Capita con gli incendi, ogni estate sempre lì a ricordare che non ci sono per caso, ma perché servono ad alimentare un flusso di denaro (pubblico) per riforestazione e pulizia dei luoghi bruciati. Un’industria che ha bisogno di quelle fiamme ed è intorno a questo mondo che si dovrebbe cominciare a fare, è il caso di dirlo, terra bruciata dando il via al blocco degli appalti e alla realizzazione degli interventi del “dopo” con risorse e strutture pubbliche.

E capita anche con la politica della distribuzione del danaro. L’ultimo esempio ci arriva dall’elenco dei beneficiari dei contributi destinati alle iniziative culturali finanziate della Regione, nuova tolda di comando del Capo. E purtroppo capiterà ancora con analoghe liste della spesa, dove premiati ed esclusi quasi sempre corrisponderanno ad amici e nemici.

A parte la sciatteria di ufficializzare la lista delle mance in pieno agosto, quando ormai le iniziative dovrebbero essere in calendario o andate già in scena, il messaggio che passa – e qui quelli della disinformatja hanno lavorato a fondo – è che le decisioni non arrivano dalla stanza dei bottoni, che ci sono stati criteri preliminari, che tutto è stato vagliato da funzionari.

Certo, magari sarà anche così. Poi però si scopre che dopo aver annunciato tagli e razionalizzazioni vengono aggiunti soldi all’ultimo momento (presi dove?) per far tornare i conti per quella che potremmo definire la strategia della menzione: se ci sei, fai parte della corte e puoi star tranquillo.Se non ci sei, sei fuori da tutto e destinato a una sorta di esilio civile.

E non c’è neanche troppo da sorprendersi, se i cartelli esposti durante la campagna elettorale di maggio erano così espliciti: caratteri e grafica uguali a quelli dei candidati legati al Capo dei capi e un messaggio accattivante come “Quattro miliardi per Salerno e provincia”. C’era chi lo aveva spiegato chiaro e tondo nei comizi, come il candidato sindaco di Battipaglia, poi sconfitto, Gerardo Motta, quello della passeggiata mancata a braccetto con il presidente della Regione: «Se vinciamo noi bene, altrimenti...».

Ed è proprio a quell’altrimenti che viene da pensare, se si guardano le zone dove i soldi non sono arrivati o quasi, terre non tanto in sintonia con il Capo. Praticamente zero euro dove non ci sono amministratori graditi e un boom più che sospetto, ad esempio, nella terre dell’assessore alla Cultura: approvate sei richieste su sette, in dodici mesi raddoppiate le risorse. Formalmente sarà anche tutto lecito ma è il messaggio che passa a esser maleodorante. In sostanza si fa capire che solo chi fa parte del circo ha diritto a ballare, gli altri che si arrangino.

Dire che non è bello è il minimo ma purtroppo non è il solo segnale del genere. A partire dall’invadenza del Capo nelle scelte del capoluogo di provincia, feudo di riferimento, con veri e propri ordini dettati in tv al proprio successore – di fatto ridotto al rango di secondo cittadino – e uomini di fiducia piazzati nei posti chiave. Uno su tutti il figlio secondogenito messo lì a guardia della cassa del Comune.

E ci sono le genuflessioni anche di fronte alle peggiori uscite del Capo dei capi, anche quando dà dell’impresentabile «in tutti i sensi» (di fatto ironia becera sull’aspetto fisico) a una compagna di partito che ha osato metterlo in discussione, o lancia ammiccamenti sessuali (che è meglio non ripetere) durante un tribuna elettorale in tv a una giornalista che aveva osato fargli una domanda vera, molto diversa da quelle che gli vengono servite più che concordate dal reggitore di microfono di turno. O quando dà della “bambolina” alla sindaca di Roma. Dal suo partito, che è bene ripeterlo si chiama Pd ma da queste parti vuol dire Partito deluchiano, ben che vada è fuga dalle dichiarazioni e quelle poche donne che si prestano finiscono per dargli ragione, con acrobazie verbali veramente deprimenti e offensive per la dignità di tutto il genere femminile.

La strategia del Capo è anche quella di scegliere e far vedere le cose che piacciono, come le sceriffate contro gli ambulanti abusivi. Per funzionare, funziona. Ma è puro illusionismo, finché regge. Finché i nodi non vengono al pettine, come nel caso delle Fonderie Pisano, al termine di vent’anni di malagestione della vicenda. Oggi che si è stati costretti a stoppare le emissioni da quei camini da preistoria industriale, si ha di fronte il bivio della contrapposizione salute-lavoro, con la farsa degli impianti – bloccati dalla magistratura – riaccesi per permettere nuovi controlli e spargere altri veleni nell’aria con il comprensibilissimo disappunto degli abitanti della zona. Il tutto per trovare il modo di far pagare gli stipendi agli operai ancora per un paio di mesi, perché in realtà non si sa come venire a capo di questa catena di sant’Antonio del rimando e del “chi se ne frega”. I progetti per la delocalizzazione (la chiamano così ma in realtà si tratta di ricostruire altrove e bonificare) sono solo sulla carta e anche se si trovasse un sindaco disposto ad accogliere l’impianto nel suo territorio, sarebbe roba di anni. Troppo tempo anche per i professionisti dell’ammicco e non sarà facile trovare un modo di uscirne, se non di dar la colpa ad altri. A rinfocolare uno scontro – come è stato fatto fino a oggi – fra chi rischia di perdere lavoro e dignità e chi da anni ci ha rimesso in salute e con la vita dei propri cari.

Dettagli, per questa macchina infernale che non fa prigionieri grazie anche ai soldi pubblici che sono quelli delle nostre tasse. Non c’è posto per chi alimenta dubbi, peggio ancora per chi critica.

L’assolutismo salernitano del re sole del ventunesimo secolo è anche questo. E la sensazione è che – adesso che gli orizzonti sono estesi a un’intera regione – non si sia ancora visto tutto. Purtroppo.

twitter: @s_tamburini

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