il caso

Eboli, i nuovi schiavi della Piana del Sele

A decine si ammassano nei pericolosi capannoni dell’ex Apoff di Eboli per poi recarsi al lavoro nei campi

EBOLI. L’ex Apoff di Santa Cecilia, nuova frontiera dello sfruttamento degli stranieri, costretti a lavorare nei campi per poche decine di euro al giorno. E molti di questi giovani sono ora dei profughi, arrivati sui barconi dall’Africa, portati nei centri di accoglienza della provincia di Salerno e poi finiti a rompersi la schiena nei campi agricoli della Piana. Come il giovane malese investito mentre in sella alla sua bici, all’alba, stava andando al lavoro. Sono gli “ultimi degli ultimi”, proprio per la loro condizione di rifugiati. Retribuiti dai caporali con somme addirittura inferiori a quelle normalmente pagate ai clandestini che da anni ormai vivono lungo il litorale nelle campagne a ridosso di Pontecagnano, Battipaglia, Eboli e Capaccio. Luoghi dove si lavora dall’alba al tramonto, per poche decine di euro.

leggi anche: Se questo è un uomo: gli schiavi fra noi e l’indifferenza I profughi nelle mani dei caporali che li fanno lavorare duramente e senza diritti per un’intera giornata per compensi da fame. È la punta dell’iceberg del lavoro nero e di quello grigio, una vergogna senza fine incontrastata da una politica disastrosa che ci regala servizi sanitari ridicoli e ancora fa balletti intorno a strutture incompiute che fanno comodo solo ai costruttori. E il Capo dei capi detta la linea in tv... incredibile ma vero

Una realtà di sfruttamento e di degrado sociale che il segretario provinciale della Cgil, Anselmo Botte, conosce bene. Lui ha incontrato varie volte sia i malesi sia i marocchini, circa un centinaio, che in estate lavorano nei campi della Piana: «La comunità malese che vive ora all’interno dell’ex Apoff si è sistemata lì per poi poter andare lavorare nel campi a 25 euro al giorno. Purtroppo preferiscono vivere in quella ex fabbrica degradata invece che nei centri di accoglienza per rifugiati, come quello di Sicignano degli Alburni».

Un paradosso, spiegato con il fatto che molto spesso questi profughi sono costretti a lasciare le strutture di accoglienza per cercare un loro futuro all’esterno, diventando così i nuovi schiavi dei caporali, molto spesso loro connazionali. I più fortunati riescono anche a lavorare tutti i giorni; gli altri, invece, si piazzano con un cartello per strada, disponibili a guadagnare qualche euro ovunque e comunque.

«In quel ghetto sopravvissuto a San Nicola Varco vivono persone in gravi emergenze sanitarie – afferma Botte quando parla dell’ex Apoff – E le presenze aumentano in estate quando aumenta il lavoro nei campi. Con il sindaco Massimo Cariello e dopo la visita alla struttura dell’assessore Lenza abbiamo sollecitato interventi da parte delle autorità competenti. Chi vive lì rischia di contrarre malattie serie. Tutto intorno c’è amianto, spazzatura e non esiste l’acqua potabile. Senza contare gli investimenti per strada e i morti (ieri sera, a Campolongo, l’ennesimo incidente, con un giovane africano ricoverato al Ruggi di Salerno con traumi al collo, ndr). Servono soluzioni evitando sgomberi inutili e violenti».

Il sindacalista lancia un appello: «Queste persone, molte delle quali di nazionalità marocchina, non avendo un lavoro stabile vorrebbero una struttura dove poter vivere pagando un fitto adeguato alle loro possibilità. Quindi istituzioni fate qualcosa, è giunto il momento di agire e in fretta il ghetto Apoff è più pericoloso di San Nicola Varco, è una bomba a orologeria che prima o poi scoppierà».

Travolgendo tutto e tutti.

©RIPRODUZIONE RISERVATA