«Strakosha stia tranquillo Deve migliorare le uscite»

Orsi, ex portiere e allenatore della Lazio, non è preoccupato per la staffetta E ai sostenitori granata chiede pazienza e impegno: «Sarete l’uomo in più»

SALERNO. Quando i ragazzi degli anni ’80 sognavano la Salernitana in B e nel frattempo “divoravano” l’album delle figurine Panini, Nando Orsi era già lì, sulle pagine lucide con l’odore di colla. Tra i pali della Lazio s’è fatto sempre trovare pronto, in momenti diversi: in gioventù e in età matura. Orsi ha raccolto nel 1982 l’eredità pesantissima di Pulici; nel 1989, invece, «tornato per fede», ha saputo fare il dodicesimo senza alzare la voce. «Però se mi chiamavano, sputavo nei guanti ed ero pronto». Una riserva con mentalità da titolare. E’ quello che chiede pure Menichini ai granata. «Ragazzi, servirete tutti. Io non vado in cerca di titolari ma di riserve». Però c’è un ruolo – ed è quello del portiere – dove le gerarchie contano: gioca il più affidabile, quello che sbaglia di meno e che sa “comandare” l’area. Da tempo, dopo i balletti, si puntava su Terracciano ma con il Crotone ha dovuto immolarsi e farsi espellere per evitare il gol.

Ora tocca a Strakosha. Orsi, l’ha pesato?

«Non l’ho allenato ma l’ho visto all’opera con la Primavera. La Lazio ci conta molto. Mi pare abbastanza fisico e con qualità tecniche. La B è un’altra cosa ma se hai personalità vieni fuori. Tra i pali è ok».

E in uscita?

«La si allena sempre, insieme al coraggio. Ho avuto Zoff come allenatore - non personale ma di squadra - e i consigli erano di giocare più avanti e avere coraggio. In ogni caso, i giocatori sono esaltati anche dalla organizzazione difensiva. Se Bernardini e soci saranno bravi nel gioco di testa e nella lettura preventiva, la difficoltà è ridotta».

Con che animo dovrà presentarsi Strakosha?

«Di uno che è sempre pronto ad entrare. Ormai il portiere di riserva non è più tale. Con i regolamenti di oggi, l’ingresso è dietro l’angolo. Quindi deve giocare con tranquillità. Di concetto, mi piace che ci sia una gerarchia. Menichini magari non avrebbe cambiato ma ora si deve. Però mi sembrate più preoccupati voi della stampa che Menichini. Con Leonardo, che è un serafico, mi sono allenato quando eravamo alla Roma: lui giocava, io ero aggregato. Ha fatto il percorso di Mazzone, è pronto e preparato, conosce la categoria. Fidatevi: avrà già parlato col preparatore, saprà gestire il portiere che subentra e non lo farà sentire di riserva, anche perché poi cambia lo stato d’animo. Ci vogliono riserve col cuore e la mente di un titolare, cioè pronte sempre. Dal 1989 al 1998 ho fatto il “vice” ma si è verificata più di un’alternanza, in qualche campionato. E che facevo, non entravo? Nel ’92, feci quasi tutte le partite andando pure in Coppa Uefa. Subentrai a Fiori che fece dieci partite. Erano altri tempi: avevo trent’anni e ritornavo alla Lazio per fede».

Per Lotito la Lazio è una fede e la Salernitana cos’è?

«E’ il presidente di due squadre. Fa il suo dovere e le cose per bene, spero. Oggi non credo ci siano più i presidenti che abbiano società per fede. Sono pochissimi: gli Agnelli alla Juventus, Berlusconi ha festeggiato trent’anni di Milan, Moratti tifa Inter. Lotito ha il suo modo di gestire, criticabile o meno. Lui è diretto. Ha avuto il merito di andare a prendere due club, la Lazio sull’orlo del fallimento e la Salernitana fallita, e li ha portati avanti. A Roma ha fatto cose buone e altre meno. A Salerno, dove c’è il rischio retrocessione, ha fatto arrivare Oikonomidis, ottimo, e Tounkara, buono ma discontinuo. Che dire? Conosco Mezzaroma che è mio amico fraterno. Quando si arriva a certi livelli, si vuole di più dimenticando quello che è successo prima e invece ci vuole tempo. Salerno potrebbe avere un po’ di pazienza».

Ha tempo per salvarsi?

«Salernitana in corsa. L’ho vissuta la salvezza: Lazio in A, Arezzo in B, Parma in C . Ci vuole unità d’intenti, non disgregazione. Salerno vince anche col dodicesimo uomo. Poi a fine anno si tirano le somme, ma ora tutti uniti».