LA STORIA

Salernitana, quando Mattioli volle i campioni d’Italia

Il presidente granata scelse il centrocampista Tori e il terzino Amenta, vincitori dello scudetto fantasma del ’44

Le nostre incursioni nel passato remoto della Salernitana stavolta faranno vivere una vicenda il cui epilogo clamoroso se non fu sancito con l’assegnazione dello scudetto da parte degli organi federali, fu decretato dal pubblico degli stadi, che rese giustizia alla rattoppatissima squadra dei pompieri di La Spezia, che aveva vinto sul campo il tricolore battendo clamorosamente il Torino (2-1) di Mazzola e Gabetto .

Lo scudetto fantasma risale al 1944, anno di guerra guerreggiata al Nord e di guerra della fame a Sud. La controversa vicenda, in un certo senso, riguardò anche la società granata, che, facendosi largo tra roventi polemiche, scese in campo in favore della piccola provinciale che aveva mortificato uno dei due squadroni della metropoli più industrializzata d’Italia. La Salernitana sostenne la sua presa di posizione, prelevando dall’organico tecnico dei vincitori ben tre “neolaureati”, il centrocampista Tori eiterzini Amenta e Persia II. Così facendo, riconobbe allo Spezia il primato del calcio italiano almeno in quella stagione in cui il grande Torino si era… distratto negli ultimi 90 minuti. Domenico Mattioli , da poco presidente, e Vittorio Mosele , suo ex dipendente diventato giocatore-allenatore dei granata, sponsorizzarono i baldi “pompieri” facendo passare il piano di rafforzamento della squadra attraverso i nuovi campioni d’Italia. Così portarono a casa dalla Liguria il roccioso Renato Tori e i terzini Carmelo Amenta e Sergio Persia.

Senonché quest’ultimo, a contratto concluso, per ragioni personali, scelse di rimanere a La Spezia un altro anno. Ma come successe che il “42° Corpo dei Vigili del Fuoco” di La Spezia vinse il massimo campionato di guerra disputato in Italia? Nel 1944 con un Paese spezzato in due dalla Linea Gotica, anche la FICG si divise: l’amministrazione rimase in piedi nella Roma monarchica e badogliana mentre i dirigenti federali presenti nella Repubblica di Salò allestirono, da Milano, un “Campionato di divisione nazionale misto” con gironi zonali organizzati in tre fasi regionali. Le squadre vincitrici disputarono quarti e semifinali e, ad ultimo, la finale a tre per l’assegnazione del titolo di Campione d’Italia. Il Sud non se ne stette a guardare. In verità qualche mese prima già il Comitato campano aveva organizzato la Coppa della Liberazione vinta in bello stile dalla Salernitana composta interamente da elementi locali. Stavolta furono organizzati, in concomitanza con il campionato dell’Alta Italia, i tornei validi per i titoli regionali.

In quegli anni così tormentati lo Spezia Calcio aveva sospeso l’attività in quanto il suo presidente Coroliano Perioli , catturato dai tedeschi, era stato deportato in un lontano lager in Germania. L’unico dirigente rimasto, Giacomo Semorile , non aveva mollato e, radunati pochi altri coraggiosi, aveva convinto il comandante dei Vigili del Fuoco cittadini, l’ingegner Gandino , ad allestire una squadra che potesse figurare nel nascente “campionato di guerra” ordinato da Salò. Nacque il nuovo Gruppo Sportivo 42º Corpo dei Vigili del Fuoco, e per prima cosa Semorile e Gandino si assicurarono l’allenatore sistemista Ottavio Barbieri , e rilevarono tutti i calciatori dello Spezia Calcio con l’impegno scritto di restituirli alla società di appartenenza al termine del conflitto. Poiché la nuova società garantiva ai calciatori un cartellino che li esentava dagli obblighi del servizio di leva, non fu difficile completare l’organico con altri buoni elementi in cerca di un piccolo stipendio ma anche della certezza di sfuggire alla chiamata alle armi o, peggio, ai rastrellamenti. I Vigili del Fuoco, adottando il mezzosistema, fecero fuori tutte le avversarie grandi e piccole e arrivarono fino alla finale assieme al grande Torino e al Venezia. Gli incontri diretti si disputarono all’Arena di Milano, dove, sovvertendo ogni pronostico, i pompieri di Barbieri vinsero lo scudetto, impresa che mise in grande imbarazzo la FIGC perché a perderlo era stata una società di prestigio internazionale quale il Torino.

Quindi non si procedette ad alcuna assegnazione e l’ingiustizia fu parzialmente riparata solo nel 2002 per altro riconoscendo agli spezzini un titolo platonico. Come abbiamo detto, a quella sorprendente squadra la Salernitana portò via due elementi che per serietà e rendimento non delusero le aspettative. Ambedue avevano un curriculum di tutto rispetto, sebbene fosse molto più consistente quello di Tori. A 18 anni aveva esordito a Viareggio, dove era nato il 3 novembre 1914, giocando 80 partite in quattro stagioni. Poiché era forte fisicamente e dotato di buona visione di gioco, successivamente indossò in serie A le maglie della Fiorentina, del Genoa e del Livorno, giocando 171 partite prima di schierarsi con i vigili del fuoco di La Spezia con i quali partecipò a 12 gare e segnò due gol validi per lo scudetto- fantasma. A Salerno il suo rendimento fu più che ottimo. Esordì a 31 anni nel torneo di A e B (vinto dal Torino), con 15 grintose presenze e 2 gol. In tre stagioni mise all’attivo 66 incontri, vincendo con Mosele e Viani il torneo post interregionale, il campionato di serie B (20 presenze sempre al massimo) e scendendo in campo ben 30 volte nella mitica serie A. Era un centrocampista generoso e inappuntabile. Un guerriero stimato dai compagni e dai dirigenti. Lasciò a Salerno molti amici e molti rimpianti e a fine carriera, dopo aver allenato l’Empoli, se ne tornò nella gaia Viareggio, dove visse fino al 24 maggio 1983. Il milanese Carmelo Amenta giunse a Salerno a 27 anni. Aveva giocato nelle fila del Derthona e dello Spezia, in serie B e nel torneo dell’Alta Italia. Terzino dotato di una forte carica combattiva, fu utilizzato da Mosele 17 volte nel torneo A-B prima di far ritorno a La Spezia dove giocò 91 partite e appese le scarpette al chiodo nel 1949.