LA STORIA

Salernitana, fai come i ragazzi del ’44

Un esempio di coraggio e grinta: quell’avventura cominciata nel luglio di 76 anni fa dopo il “lockdown” per la guerra

Nella brutta sconfitta interna contro l’Empoli agli uomini di Ventura è mancato il vecchio “cuore” granata, quello che permette di ribaltare il pronostico contro avversari tecnicamente superiori e uscire dal campo senza più una stilla di energie da spendere, ma vincitori. Alla Salernitana restano da giocare due sole partite, 180’ incandescenti, e il richiamo al vecchio “cuore” granata è diventato una necessità. È l’ultima risorsa per restare nei playoff e tentare l’aggancio del terzo posto per la serie A. E, allora, vogliamo dedicare questo piccolo scampolo di memoria a mister Ventura, perché a sua volta lo racconti ai suoi ragazzi. È una bella impresa realizzata dalla Salernitana nella rovente estate del 1944, dopo il lockdown imposto da una guerra che, a Salerno e nella sua provincia, fu combattuta quasi dentro le case e i morti, i mutilati, i deportati e le famiglie ridotte alla miseria più nera, si contavano a migliaia. Questa storia parla proprio del vecchio “cuore” granata e, se raccontata in maniera non canzonatoria, potrebbe indicare la strada giusta a giovani calciatori bisognosi di ritrovare sul campo, nei prossimi 180’, lo spirito pugnace che non hanno avuto nell’incontro di venerdì sera in cui, dopo il grande sprazzo di Cedric Gondo - corsa, pallonetto a scavalcare e gol morbido - , non hanno trovato la cattiveria per tramortire l’avversario. Anzi. Nel 1944 entrò in campo la Salernitana che riteniamo più orgogliosa di sempre. Era composta da nove Salernitani nati sotto il Campanile di San Matteo, da un veneto che non si mosse più dalla città dove impiantò lavoro e famiglia e da un giovane affamato (non solo) di gol, che quasi ogni mattina giungeva in treno da Agropoli, per allenarsi con i compagni chissà dove. I due si chiamavano Vittorio Mosele e Vincenzo Margiotta .

Il loro allenatore era Carmine Milite , un volitivo terzino che non conosceva assolutamente niente di chirurgia cardiotoracica, ma che sapeva trapiantare metaforici cuori forti e generosi nei giovani calciatori che ne difettavano. Benché Christiaan Barnard non avesse ancora incominciato i suoi famosi studi sul perno della nostra circolazione sanguigna, quel buon diavolo di Milite mise in pratica la specializzazione che mai aveva studiato, appena fu chiamato alla guida di una Salernitana ricostituita dal nulla e senza una sede, senza dirigenti, senza un campo, senza quattrini, senza un organico e senza nemmeno i colori sociali. Spiegò a tutti che il cuore, la grinta e l’impegno potevano colmare ogni carenza. Certo non dovette sgolarsi con elementi coriacei come Jacovazzo , Vicinanza , Onorato , Voccia , D’Errico e Saracino . Quando il cielo parve rasserenarsi, due giornalisti sportivi e dirigenti del Comitato campano della Figc, Mario Argento e Carlo Di Nanni , intuirono che il Sud liberato non poteva avviare la sua ricostruzione sociale ed economica senza l’entusiasmo e la spinta morale che generava lo sport più popolare e fissarono per il 2 luglio 1944 la ripresa calcistica. Con felice scelta, dedicarono la prima competizione ufficiale alla fine dell’occupazione nazifascista e alla rinascita della Nazione sulla base dei valori democratici sanciti proprio a Salerno dal governo del Sud. La Coppa della Liberazione, così intitolarono il primo torneo del dopoguerra, si svolse in tre gironi mentre la guerra infuriava al Nord e, per tale motivo, assunse un significato che andava oltre il carattere sportivo.

Il calcio mise la barra a dritta per raggiungere l’unità nazionale indicata da Bonomi e dal suo esecutivo della svolta e i salernitani ritrovarono dignità, orgoglio e spirito di rinascita. Furono tali ragioni a indurre la Salernitana a superare in un baleno difficoltà che sembravano insormontabili e a iscriversi alla Coppa della Liberazione. Sotto il solleone di luglio e di agosto, in un clima asfissiante proprio come quello odierno, furono affrontati e superati rivali tecnicamente ed economicamente molto attrezzati. I giocatori, accontentandosi di dividersi i soldi delle collette e dei magri incassi, fecero della ritrovata maglia granata l’investimento per un futuro migliore. Quei “bravi ragazzi” - nulla a che vedere con i malefici goodfellas di Martin Scorsese - per superare le non poche difficoltà si affidavano al “cuore” e alla volontà di combattere su ogni pallone. Lo avevano imparato nei furibondi tornei giocati a piedi scalzi sulla spiaggia di Santa Teresa, dove tutti i giorni, dalla mattina al tramonto, avevano luogo sfide combattutissime.

Nella formazione-base della Salernitana solo un paio di elementi avevano la stoffa dei campioni. Ma la grinta e il rintocco del campanile costituivano la qualità del collettivo. Dopo aver vinto il loro girone, i granata giunsero al difficile quadrangolare finale con la seguente formazione: Tramontano Gabriele, Milite Carmine, D’Errico Raffaele, Vicinanza Giacinto, Saracino Mario, Jacovazzo Ninuccio, Onorato Elio, Voccia Vincenzo, Margiotta Vincenzo, Naddeo Gerardo e Jemma Giuseppe. Nello spogliatoio e in campo teneva banco solo il dialetto salernitano, la parlata stretta del centro storico. Siccome mancava il campo, le prime partite furono disputate in trasferta e si andò incontro a qualche sonora delusione. Però la musica cambiò quando si poté disporre del campo amico. Gli undici acquisirono la forza di un uragano ed eliminarono ogni avversario, qualificandosi per la finale a quattro, che ebbe inizio il 16 novembre 1944. La cose si aggiustarono. L’anziano portiere del Napoli, Vittorio Mosele, fu convinto di trasferirsi con la famiglia da Vietri a Salerno e divenne un perno importante della squadra. Rientrarono Vincenzo Volpe , fortissimo colpitore di testa, e il militare Antonio Valese , un funambolo che aveva nella testa un intero campionario di tattiche, e si aggregarono altri elementi: Ciro Gentile , Armando Marino , Alfredo Martuscelli , Paparella , Matteo Meo , Arturo Scariati . Tutti con in petto il vecchio gran “cuore” granata. Tutti “guerrieri” di Santa Teresa, che Valese, al quale il generoso Milite aveva ceduto volentieri la squadra, disciplinò e rese funzionali a un progetto tattico perfetto. La Coppa della Liberazione fu vinta sulla Torrese, sull’Internaples e sulla Bagnolese. Il Napoli, la Puteolana, la Cavese, la Scafatese, l’Angri e altre contendenti si erano fermate prima del giro finale. La Salernitana dimostrò che con il “cuore” e la volontà possono essere superati anche il momento e l’avversario più ostici. Bisogna crederci fino in fondo. Mister Ventura racconti questa storia ai suoi ragazzi e attenda con fiducia.