IL LUTTO

Salernitana, addio a Orazio: vecchio cuore granata

Gli ultras piangono D’Orso, una vita per gli “East Side” e la sua amata famiglia

SALERNO - Contava i giorni che mancavano per la fine della “diffida”, cinque anni di Daspo «senz’aver fatto niente», ricordava con un riso amaro e c’era da credergli visto che lui la parte dell’angioletto non l’ha mai recitata, «perché ultras è azione», ripeteva quando raccontava il tempo che fu. Aveva nostalgia della sua epoca, Orazio D’Orso, ma pure un’autentica voglia di futuro: il destino gliel’ha negato, non tornerà più nella Curva Sud Siberiano che tanto amava perché il suo vecchio cuore granata l’ha tradito per l’ultima volta, e ha smesso di battere per sempre ieri mattina. Aveva cinquant’anni, il “Vecchio Orso”, papà di due ragazzi, Aria e Francesco, ch’erano il suo immenso orgoglio, e marito d’una donna, Stefania, che l’ha amato accettandone gli eccessi, compensati con una grande bontà d’animo. Sì, era un uomo buono, Orazio, tra i pionieri d’una fase storica del movimento ultras salernitano: il trasferimento dal tempio del Vestuti al palcoscenico sontuoso dell’Arechi, tra il tramonto degli anni Ottanta e l’alba dei Novanta. È lì che il tifo granata ha fatto il salto di qualità, catturando gli occhi dell’Italia intera per inventiva e spirito d’iniziativa, una città della provincia del calcio che diventava persino modello per le metropoli.

Lui, “Orso”, quella storia la conosceva a memoria perché l’aveva vissuta da protagonista: nel 1988, con un po’ d’amici della zona orientale, aveva messo su East Side, durò “appena” sette anni ma se ne parla ancora e non soltanto per quelle parole come pietre che ne sancirono lo scioglimento nel 1995 al grido di “Resta la differenza”. In quel gruppo, che diventò forte al punto da “mettersi in proprio” e spostarsi per un periodo in Curva Nord, Orazio era un ragazzo da prima linea, cresciuto mangiando pane e credo ultras, l’alter ego in carne e ossa di quel bulldog con il boccale di birra scelto come simbolo, terra di mezzo nello striscione nero tra le prime quattro lettere, East, e le altre quattro, Side. Non ha mai smesso di sbattersi per una maglia e un movimento che proprio non voleva rassegnarsi a mollare, neppure quando i medici, dopo i problemi di salute, gli consigliavano riposo: riposo “un corno”, se c’era la Salernitana da seguire, in 30 o in 3mila lui era lì, nella certezza che avrebbe preferito il primo caso. Esasperatamente innamorato del concetto di “gruppo”, ha continuato a vivere con aggregazione e passione quel fenomeno ultras che assieme ai compagni d’avventura del secolo scorso ha mosso “Educazione East”, un libro sul passato ma pure una linea di pensiero da portare avanti nel presente.

Se ne va in una domenica senza sole né partite, con la gente chiusa in casa terrorizzata da un virus, e forse lo fa per umanissima ribellione, lui che amava la vita vissuta sino in fondo. Fa nulla che non ci sia un funerale tra cori e fumogeni a salutarlo. Il segno del “Vecchio Orso” resta, nella storia del tifo granata e nel cuore di chi l’ha conosciuto. Parte così per la sua ultima trasferta, senza divieti né “diffida”, mentre in mente risuonano i loro cori, mentre il vuoto lo rende ancora East...