serie b

Salernitana, è tregua fra Menichini e il gruppo

Fabiani richiama tecnico e giocatori all’unità. Chiarimento nello spogliatoio, Ceccarelli spiega il senso delle sue dichiarazioni ma finisce prima la seduta

SALERNO. Dieci punti, almeno. È questo l’obiettivo della Salernitana. Dieci punti in cinque partite, le ultime di una stagione disgraziata che può però ancora essere chiusa col sorriso, che può essere ancora presa per i capelli. Per riuscirci però bisogna darsi un pizzicotto sullo stomaco, magari postare uno smile con il cerotto a chiudere le labbra, magari dirsi occhi negli occhi - calciatori e allenatore - “niente di personale, il passato è passato, pensiamo al Livorno, andiamo avanti per il bene di tutti e dei quindicimila che all’Arechi ci hanno spinto e caricato fino alla fine”, magari scriversi nella chat su WhatsApp che “non si molla un cazzo, fino alla fine”.

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Dieci punti in cinque partite: serve la spinta di tutti. Allenatore, staff, giocatori: armonizzare un rapporto mai sbocciato - o frantumato come nel caso Fabiani-Menichini - sarebbe una favoletta difficile da far digerire anche ad un bimbo, però per tenersi la B bisogna quantomeno salvare le apparenze e soprattutto riavviare un circolo virtuoso: cioè è l’allenatore che fa le scelte ma anche che l’allenatore ed il suo staff (l’irrequieto Bonatti in primis, sempre più allenatore in prima, almeno nelle sedute) mostrino maggiore comprensione nei confronti di tutto il gruppo, evitando così di alzare oltremisura il livello di adrenalina. Serve pazienza, serve coraggio ma servono pure nervi distesi, scelte chiare: perchè in campo ci vanno i giocatori. Se logori e smarriti, c’è poco da sperare: negli ultimi venti giorni troppa tensione accumulata, troppe scelte vissute come incomprensibili, altre addirittura intese come punitive. Già un colabrodo in difesa, è come se dal Bari in poi la Salernitana avesse cominciato a farsi gol pure da sola: la pallonata di Pestrin prima del Latina, la bufera nello spogliatoio post Piola, i continui cambi di assetto e formazione nella brevissima, tormentata e tempestosa vigilia del Vicenza. «Coda in panchina? È come se il Napoli rinunciasse a Higuain...». La frase di Ceccarelli, pochi minuti dopo lo scialbo pari coi berici, rimbombava ancora nelle teste di tutti, ieri mattina.

Dei tifosi, della società, di Menichini, dei calciatori. Sintomo di un malessere latente, spia di un sentimento che - pochi minuti dopo il fischio di Manganiello - stava per essere girato a Lotito, in visita rapida nello spogliatoio. Decisione abortita per evitare di accendere ancor di più gli animi, preso atto che Menichini non sarebbe stato sollevato: gruppo compatto, dispiaciuto e mortificato per non essere riuscito a conquistare i tre punti, perplesso per le modalità di approccio ad una sfida considerata vitale. Ne restano altre cinque e non possono essere più sbagliate. Il gruppo al suo interno è coeso, magari un po’ scollegato dallo staff tecnico. Un gruppo che deve essere acceso, che deve liberarsi della depressione, che avrebbe bisogno di sentirsi apprezzato. “Meglio parlarci sopra”: è così che Fabiani ieri mattina ha invitato Pestrin a richiamare il gruppo. Tutti nello stanzone per parlare, parlarsi. Chiarirsi, riprendersi. Un’ora. Menichini ha motivato le scelte, ha definito il punto “un punto di partenza”, ribadito di aspettarsi “giocatori pronti a tutto, specie nell’accettare le scelte”. Hanno parlato anche i calciatori. Non tutti. Il capitano, Zito, Ceccarelli, invitato a chiarire il senso delle dichiarazioni post gara. Ha parlato Fabiani, che ha usato il bastone e la carota. Pare soprattutto la carota. Sarà la vitamina giusta per tenersi stretta la serie B?