Montervino dà forza alla Salernitana
«Ci snobbano? Meglio, i conti li faremo alla fine». Sulla sfida con il Frosinone dice: «In casa bisogna comandare»
SALERNO. Montervino è il capitano e pure il calciatore che, in passato, ha conosciuto il “ruggito” dell’Arechi, stadio tabù per molte avversarie. Ora lo è diventato per la Salernitana.
C’è un problema Arechi?
«Non si fa risultato pieno dalla prima: qualcosa non va. Primo inghippo terreno di gioco quasi impraticabile per noi e gli avversari ma noi in settimana ci alleniamo in altri luoghi. Lo stadio era un fortino e deve tornare ad esserlo: le rivali devono capire che c’è poco da fare per loro. Concentriamoci sul Frosinone, prepariamola come col Catanzaro».
Col centrocampo a 4, siete più solidi?
«Buona prova a Catanzaro. Se gioco esterno, è fuori dubbio che non ci si aspetti da me dribbling, tunnel, sombrero e il gol. Mi si chiede pressing e sacrificio. Avevamo il pallino in mano ma è una costante prender gol nel nostro momento migliore. Dietro tante attenuanti: un giovane e un altro che debuttava».
Lei è in scadenza: da precario è più spronato?
«Compirò 36 anni, non voglio cercare gloria in giro per l’Italia e non sono uno che si vuole abbracciare altre croci perché ho sposato la causa della Salernitana quando era morta e defunta ed ho contribuito in maniera pesante. Penso che nelle ultime cinque-sei gare, compreso sabato, ho contribuito in maniera esponenziale. Se ci dovesse essere promozione, forse sarebbe tutto scontato; se non dovesse esserci, aspetto la società ma conosce il mio pensiero».
Montervino amato poco, il giusto o sopportato?
«Quelli che mi criticano sempre sono diventati stucchevoli. Ho fatto due panchina con Sanderra? La fine del mondo, addirittura è passato il messaggio che l’abbiamo cacciato noi. Sabato, 101 presenze con la Salernitana e mi dicono ancora “napoletano”».
La principale antagonista della Salernitana?
«Perugia, Benevento, Lecce e Frosinone».
Per gli altri club, non siete neppure outsider.
«Meglio che non se ne parli, così i conti li facciamo alla fine. Dopo la partita fatta dal Catanzaro in Coppa Italia a Salerno, il loro presidente disse che tutti parlavano dei granata ma non ce n’era motivo. Poi in campionato, a Catanzaro, ci ha fatto i complimenti. Chissà dove sia la verità».
Effetto Perrone?
«Conosceva tifo e squadra da due anni. Su 4 partite abbiamo ciccato quella col Grosseto e della Nocerina è inutile parlarne. Le altre due, alla grande: Benevento benissimo e col Catanzaro meritavamo di più. Il suo arrivo è stato visto, reso e preso in maniera positiva».
I rossi sono solo un caso?
«Rizzi ha evitato un contropiede sanguinoso. Quello di Foggia è un rosso diverso. Siamo squadra sanguigna, che si fa sentire. Molti di noi hanno un passato importante e gli arbitri si sentono anche in dover di mostrare di non subire l’inferiorità psicologica».
Com’è stato fin qui il campionato di Foggia?
«Ci si aspetta tanto: oltre che l’apporto morale che sta dando, pure quello tecnico che ha fatto vedere a sprazzi. Problema fisico: fuori un anno e tre mesi, non è facile trovare la condizione ottimale. Ha abbracciato la causa. Gli dobbiamo l’attesa perché potrà farci fare il salto di qualità, da pedina aggiunta. Mancini è di qualità ma diverso: abbina ai mezzi tecnici pure la corsa; ha lasciato negli occhi della gente ricordi positivi».
Pasquale Tallarino
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