BOXE

Marzia Davide: «Adesso sogno l’Olimpiade da coach»

L’icona del pugilato femminile: «I Giochi di Rio? Una beffa. Voglio aprire una palestra anche a Salerno»

Si può essere principesse con le ginocchia sbucciate e guantoni da boxe. Si può conquistare il ring con sudore e cuore e, una volta scese, essere moglie di Carmine, madre di Giovanni, oggi 14enne e kickboxer, e poliziotta. La storia del pugilato femminile italiano deve molto a Marzia Davide : la stella di Pontecagnano Faiano, classe 1980, che ha portato alla sua Salerno oltre 100 medaglie. Al 2016, anno del suo ritiro, detiene il record per essere al comando del ranking mondiale per la categoria 54 kg. Su circa 130 match disputati, ne ha persi meno di 15. Seconda atleta, dopo Simona Galassi , ad aver indossato la maglia azzurra nella sua disciplina, ha fatto meglio di un uomo e non è un eufemismo. Poco importa se, dopo gli argenti ai Mondiali in Azerbaigian e in Corea del Nord e gli ori agli Europei di Rimini e di Bucarest, quel 2016 ad Astana contro la tedesca Azize Nimani , all'ultimo quarto, vide sfumare il sogno olimpico con biglietto per Rio de Janeiro. Ce la fece, invece l’allora 21enne Imma Testa . La prima pugile italiana a partecipare ai Giochi. Italiana e campana, di Torre Annunziata. Poco importa perché, oggi, Marzia non ha smesso di sognare: spera un giorno di poter essere alle Olimpiadi in qualità di coach e di portare a termine tanti altri progetti conservati in un cassetto sempre aperto.

Quando è iniziata la febbre sportiva, Marzia?

È una febbre genetica. Devo tutto a mio padre Pasquale e alla sua palestra, lo “Sporting center” di Faiano. È lì che è nata l’atleta combattente. Posso dire di aver imparato a camminare a 4 anni su un tatami. Ho iniziato con il karate.

E la boxe?

Prima di trovare la mia strada è passato un po’ di tempo. L’amore per la boxe nasce dal mio passato di kickboxer. Ho praticato la kick dai 10 fino ai 20 anni, quando ho deciso di mettere da parte i calci e di usare solo i pugni.

Pugni strepitosi, peccato solo per le mancate qualificazioni olimpiche.

Oggi non sono più una atleta ma a distanza di tempo, posso dire di essere stata un po’ maltrattata, cosa confermata anche dall'ex presidente della Federazione pugilistica italiana, Alberto Brasca. Di schiaffi metaforici ne ho presi, si puntava su altre persone, ma un combattente avanza sempre e il ring mi ha dato ragione. Certo, spezzarono il mio sogno a 36 anni. Dopo Londra 2012, i Giochi furono aperti anche a noi donne. Rio era la mia ultima chanche. Tokyo era troppo lontana, lontanissima col senno di poi. Chi avrebbe mai potuto immaginare il Covid?

Ma le soddisfazioni non sono mancate, vero?

Tutte prese con cuore e muscoli. Ho vinto oltre 110 match, ognuno con una storia a sé. Quando sali quelle scalette, l’emozione non è mai la stessa. Non sei né uomo, né donna. Sei un atleta.

E oggi è un tecnico...

Sì, sono alla sezione giovanile mista delle Fiamme Oro di Caserta, presieduta da Roberto Cammerelle, sportivo e uomo esemplare.

Con il quale ha seguito anche progetto per le scuole.

Sì, il pugilato come impegno sociale nel 2018. Nel 2019, invece, insieme a papà, c’è stata una tre giorni all’istituto Francesco Severi di Salerno. Purtroppo, a causa del virus, per ora è tutto sospeso.

Ha un suo idolo?

“Pungi come un’ape, vola come una farfalla”. Sembrerà scontato ma devo molto della mia mentalità vincente a Muhammad Ali e ai suoi vhs che vedevo da bambina insieme a papà, consumandoli. Testa e gambe. Porta il tuo avversario allo sfinimento. Io non ho mai vinto per ko.

Da coach quali sogni vorrebbe realizzare?

Ce n’è più di uno: partecipare alle Olimpiadi con un mio allievo, sicuramente. Poi, continuare il dialogo con i giovani e, soprattutto, aprire una sezione pugilistica anche a Salerno, ci stiamo lavorando. Anche se la boxe in provincia esiste e come, oltre al centro di mio padre ci sono palestre a Pagani, Battipaglia e Sapri. Ma la Federazione deve mettere radici anche qui. Infine, ma non mi sento ancora grande abbastanza, vorrei regalarmi e donare la pubblicazione di un libro.

Clijo Proietti