il personaggio

Maresca dà l’addio al calcio, Salerno resta un rimpianto

Il centrocampista risolve il contratto col Verona, nel suo futuro c’è la panchina. I trionfi con Juve e Siviglia. Avrebbe voluto giocare con la maglia della sua città

SALERNO. Un fuoriclasse sa sempre quando è il momento di dire basta. Enzo Maresca lo ha scelto: sarà venerdì a Verona, nella sede della società scaligera. Il nuovo già avanza: è Valoti che lo chiama “maestro”. Lui, invece, Maresca da Salerno, appenderà le scarpette al chiodo, previa risoluzione consensuale del contratto che lo legava all’Hellas fino al 30 giugno. Non ci sarà ripensamento, perché c’è già stata un’attenta riflessione: dopo trofei alzati e una brillante carriera internazionale, Maresca ha riflettuto e ha dato mandato di procedere al suo amico-manager, l’agente Candido Fortunato. Ieri a Salerno, il procuratore ha incontrato Filippo Fusco, il direttore sportivo del Verona: è stato trovato l’accordo e verrà ratificato tra poche ore in Veneto. Resta in piedi una domanda, che pesa quanto il groppo in gola che ha Maresca in questo momento: quando si chiuderà alle spalle l’armadietto dello spogliatoio, per l’ultima volta, cosa farà da grande?

Fino a giugno resterà a Verona: i figli vanno a scuola lì. In seguito, si preparerà ad affrontare nuova gavetta, perché vuole cimentarsi con la carriera dell’allenatore. La panchina lo intriga molto più del calciomercato e di un futuro da procuratore. Resta il rimorso-rimpianto: avrebbe voluto chiudere la carriera a Salerno e con la Salernitana, ma non c’è mai riuscito. Il granata è la sua seconda pelle, è pure un affare di famiglia: da ragazzino frequentava la curva Sud e il fratello è un tifoso sfegatato della Salernitana. A Pontecagnano Faiano c’è anche un club intitolato a lui. La Salernitana resta la squadra di Maresca tifoso (indimenticabili i suoi tweet d’incoraggiamento, durante gli anni dell’anonimato in serie D, C2 e C1 ma anche della lente risalita dei granata verso il calcio che conta) ma non potrà mai essere il chiodo al quale appenderà le scarpette.

Non accadrà perché ha deciso così e perché non si sono mai concretizzate condizioni economiche per realizzare il suo desiderio. Con la Juventus ha vinto uno scudetto e la Supercoppa Italiana, ha fatto indispettire i tifosi del Torino mimando “le corna” del toro in un derby infuocato. A Siviglia ha ottenuto il massimo: due coppe Uefa, la supercoppa europea, una coppa di Spagna e una supercoppa spagnola. Dopo l’Olympiacos e il Malaga, il Palermo e il Verona, non ci sarà lo stadio Arechi, non il rettangolo di gioco, magari gli spalti.

A Salerno ci sono gli affetti, la curva Sud Siberiano, gli amici, il richiamo del sangue. Pure il progetto? Nel 2014 rispose con affetto ma senza peli sulla lingua: «Non lo vedo ancora delineato. Serve un progetto che formi la società. Meglio fare un progetto che porti alla crescita della società anno dopo anno che fare l’ascensore. Salerno è una città stanca di fare questo. Penso a Udinese e Chievo che fanno progetti seri. A Salerno c’è grande entusiasmo, grande tifoseria ma non è detto che si arrivi per forza a giocare contro Milan e Juve solo perché il proprietario della Salernitana è Claudio Lotito ed ha una squadra in A. Il progetto passa per i giovani che devono essere l’ossatura del futuro e i giovani vengono fuori se ci sono strutture idonee dove farli allenare. Se, però, la quotidianità è fatta di viaggi e sacrifici perché manca la base logistica, diventa dura».

Tre anni dopo, Lotito dice che la base logistica c’è. «Abbiamo un centro sportivo, anzi due», aggiunge riferendosi probabilmente al campo Volpe e al Mary Rosy. Non c’è Maresca. Neppure da avversario: assente all’andata all’Arechi e non affronterà la Salernitana al “Bentegodi”, a fine gennaio. Si ferma a 338’, ha deciso di farsi chiamare mister.

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