serie b

«La serie B della Salernitana nelle mani dei tifosi»

Franco Varrella ricorda l’impresa di venti anni fa: «Così i granata riusciranno a farcela»

SALERNO.Sono passati gli anni ma Franco Varrella non è cambiato. Schietto, motivazionale, acuto. Adesso è docente a Coverciano («a Cesena il 7 marzo sarò con i miei allievi, lezione sulla partita tra bianconeri e granata»), nel ’97 fu l’allenatore capace di compiere l’impresa: rianimare e salvare una Salernitana agonica. Squadra sfilacciata e sfiduciata, proprietà contestata, tifoseria inferocita. Vent’anni dopo è deja vu. «Amo visceralmente la Salernitana, non può perdere la B. Deve farcela. Pensiamo tutti in positivo: ce la farà».
 

Come ci si salva?
«Bisognerebbe conoscere le reali problematiche interne, le dinamiche dello spogliatoio. Però conosco la piazza. Ecco, io credo che la Salernitana abbia al momento una proprietà solida ma poco presente, che fatica a dialogare con le componenti - città, istituzioni, tifosi, gruppo - e che non invia loro segnali rassicuranti sul futuro. Il discorso vale soprattutto per la squadra: se questo vuoto tra società e giocatori non viene riempito, se non c’è continuae corretta comunicazione tra chi decide e chi opera sul campo, diventa dura. Un peccato, anche perchè ho visto la gara con il Brescia e la Salernitana mi è parsa forte, all’altezza di una missione difficile ma non impossibile».

Poi però ci sono stati il mercato, il cambio tecnico, rivoluzione tattiche, contestazioni e nuove sconfitte.
«Così si crea solo confusione e sfiducia. I giocatori, che sono il braccio armato, vengono assaliti da sfiducia e da ansia. Perdono certezze ed autostima. Se ogni volta si cambia qualcosa o qualcuno, se si passa da un allenatore all’altro, da un modulo all’altro, si finisce col crederci, col ripetersi: “Allora siamo noi il problema”. E invece non deve essere così, bisogna focalizzare le cause. Chiedersi, tutti, ed insieme: Cosa non va? Perchè?».

Un corto circuito che sta mandando tutto in fumo.
«C’è bisogno di una barriera, di alzare un muro, di lavorare l’uno per l’altro. Un allenatore, al di là delle tattiche, deve cercare l’unità d’intenti col suo gruppo: ma tutto questo funziona solo se loro capiscono concretamente che c’è una società che ha idee chiare, che sa farsi sentire».

I tifosi sono delusi ed arrabbiati, disorientati e divisi.
«Salerno ama visceralmente la Salernitana: l’epidermide del tifoso trasuda granata. Cosa può fare se non tifare o a volte contestare civilmente? Bisogna andare a monte, alla società: bisognerebbe superare una volta per tutte questa stupida conflittualità ideologica tra chi ha riportato la Salernitana in B in 5 anni ma che non mostra la stessa passione del tifoso e l’ambiente che, in questo momento, deve sostituirsi alla proprietà per far capire ai giocatori - che altrimenti rischiano di atrofizzarsi mentalmente - che la B è patrimonio imprescindibile, che la salvezza non deve essere un pensiero astratto a cui tendere ma meta da raggiungere».

L’Arechi non è più quello di un tempo: nel ’97 - terz’ultimi a 6 gare dalla fine - ce n’erano 25mila col Brescia. Perchè?
«Io conservo un’altra immagine. Arechi, gara col Torino: primo tempo super ma andiamo sotto, gol di Cammarata. Rientriamo negli spogliatoi: silenzio, volti persi che guardano in terra. Io non so cosa dire: i ragazzi hanno fatto tutto benissimo. Sentiamo un urlo, un boato: la curva Sud ribolle di tifo, ha capito che ce la stavamo mettendo tutta ma che abbiamo difficoltà. Mi volto verso i ragazzi: “Ve la sentite di uscire da qui al 90’ tradendo questa gente?”. Vincemmo 2-1: furono loro a trascinarci alla vittoria. Quella sì che fu la gara della svolta».

Attualizziamo.
«I giocatori per primi devono dare la scossa: devono sapere che - in assenza di società, i tifosi devono surrogare - c’è un papà fuori che li aspetta, pronto alla carezza ma pure al rimprovero. Altrimenti i giocatori si rifugiano nella paura di non riuscire, nel pensiero che quello è un compito che non sanno svolgere e che dunque deve sbrigarlo qualcun altro. Ma in campo ci va la squadra. Servirebbe una mobilitazione, un segnale: la B è un patrimonio della città. Perchè il sindaco non dice qualcosa? Perchè non si invita all’adunata: bisogna rimettere in circolo quel sangue granata che pulsa, in città ed in provincia. Con il Crotone è una di quelle gare nelle quali ci sarebbe bisogno dell’Arechi dei miei bei tempi».

Lei arrivò in corsa, tra le macerie: spogliatoio spaccato, tifoseria in guerra. Come affrontò la situazione?
«La Salernitana era reduce da due A sfiorate. In quel gruppo c’erano palesi dissonanze tra due specie di fazioni: i reduci di quegli anni, ed i nuovi. Il bravo Colomba non aveva mai preso una posizione netta. Chiamai gli anziani. Fortuna ad averne così: Breda, Tudisco, Ricchetti, Grimaudo. Sposai in pieno la loro causa. A Dell’Anno, Artistico, Pirri e gli altri feci capire che loro erano - diciamo - subalterni. I vecchi si caricarono di un peso enorme ma per loro la Salernitana era la seconda pelle. Ricordo Facci, ottimo ma poca personalità nello spogliatoio: si allacciò ai vecchi. Una catena che, giorno dopo giorno, ingranò».

Eppure ci furono altri capitomboli: a sei gare dalla fine avevate un piede e mezzo in C.
«Capitavano sbandamenti: riconvocavo quei 5/6, capivo che magari qualcuno di loro non si sentiva gratificato, magari lasciavo intendere di non essere stato bravo. Li caricavo a molla, e poi al resto ci pensava la tifoseria. Straordinaria. Ma se le ricorda le gare contro Ravenna e Castel di Sangro?».

In 35mila, il gol di dell’anno, quello di Masinga, la salvezza.
«Quando uno si trova in certe situazioni non deve dare nulla per scontato, deve limare ogni dettaglio. Ad Aliberti feci il lavaggio della testa: “Presidente, Cellino ha organizzato un aereo per i suoi, facciamo tornare Masinga, che serve”. E lui: “Mister, ma ne ha tanti, Masiga poi lei non lo fa giocare...”. E invece fu proprio Masinga, quello che qualcuno chiamava sbucciatore di banane, a darci la salvezza. Tutti devono sentirsi parte della causa, partendo dalla società».

Batte sempre sul punto...
«Aliberti - che poi quando mi richiamò anni dopo, al posto di Zeman, mi fece una carognata perchè mi aveva assicurato rinforzi e invece aveva già venduto tutti - era il presidente, era la proprietà, era il soggetto di riferimento. Davanti ad una contestazione oppure in un momento difficile, ecco lui faceva il passo avanti, e diceva ai tifosi: “Eccomi, fate pure”. Uno si sfogava, sapeva con chi prendersela. E faceva così pure coi calciatori, con me. Ora a Salerno c’è una proprietà ma non un soggetto, c’è chi ha portato la squadra dalla D alla B mostrando capacità però troppo poca visceralità in un ambiente che invece trasuda passione: è qui che bisognerebbe interrogarsi, lavorare. L’osmosi è necessaria, vitale. Questo popolo deve essere vissuto come alleato, non certo come come un nemico, un peso».

Non tutti la pensano così...
«La curva della Salernitana è tra le prime cinque d’Italia, al pari di quelle del Genoa, del Torino, del Cesena: passione, attaccamento, spinta, colore».

Col Crotone non ci saranno più di 10mila, all’Arechi: non è più come una volta...
«Nel ’97 Aliberti fu bravissimo: fece mea culpa, tagliò i prezzi, pur in un momento difficile si creò un senso di appartenenza tale che noi eravamo i tifosi, i tifosi erano i giocatori. Col Ravenna e con il Castel di Sangro ce n’erano 35mila sugli spalti. Trentacinquemila.... Come fai a non vincere...?».

Arriva il Crotone: forte?
«Ha fisionomia, ha gruppo, ha entusiasmo. Ma la Salernitana ha le armi per farcela».

Consigli?
«No, è una partita che si presenta e che si carica da sola. Magari averne tutte così...».
4 maggio ’97, Salernitana quart’ultima: all’Arechi la capolista Brescia. Ricorda?
«Ai ragazzi non dissi nulla, nel riscaldamento erano eccitati, concentrati. Qualsiasi frase avrebbe rotto il feeling. Non li facemmo nemmeno respirare: 3-0 dopo un tempo. Negli spogliatoi dissi: “Ragazzi, ora calmatevi: ci restano sei partite, conservate le forze”».

Se lei fosse nello spogliatoio adesso, cosa direbbe?
«Farei vedere i gol più belli di quest’anno, le giocate migliori, le vittorie e direi: “Ecco, vedete di cosa siete capaci? Siete all’altezza, dimostratelo. L’avete fatto gà e bene: rifatelo».
Gabionetta pare l’immaagine di una Salernitana in disarmo. Lei mise fuori Artistico: farebbe la stessa cosa?
«Momenti e giocatori diversi. Gabionetta ha grandi mezzi. Deve ricaricarsi, sentire fiducia: la Salernitana non può permettersi di fare a meno di nessuno, tantomeno di uno che fa giocate incredibili. Come il Dell’Anno dei miei tempi: nel finale anche lui fu decisivo».

Conosce Menichini?
«Abbiamo fatto il corso insieme, viene da una buona scuola come quella di Mazzone. Non è mai facile subentrare, non lo aiuta forse il fatto che lo scorso anno ha ottenuto la serie B e poi è stato congedato. Ecco, deve mettersi alle spalle il passato, scorie e pensieri, e deve concentrarsi solo sull’oggi. Ha capacità, equilibrio, vissuto».

La Salernitana ce la farà?
«Sarebbe atroce se perdesse la serie B. Non voglio pensarci: ce la farà. Sicuramente».

Su chi punterebbe?
«Sul collettivo: società, gruppo, tifosi. Mi rivolgo a loro: riempite l’Arechi. Voi siete l’arma in più, non sapete cosa significa giocare all’Arechi quando è pieno, non sapete come si sente un avversario quando vede quel muro, non capite cosa sente un granata quando viene spinto. Tifosi, la B è nelle vostre mani».