La corsa di Andrea rivive a distanza di venti anni

Da quel triste 25 aprile il testimone è passato nelle mani di chi ha scelto di sfidare la leucemia impegnandosi nella nascita di un centro trapianti

SALERNO. Le sfide si possono anche perdere ma mai, neanche per un attimo, bisogna sentirsi sconfitti. Se ne andò così, vent’anni fa - era il 25 aprile del ’95, lui ormai debole, debilitato, in un letto d’ospedale a Perugia - Andrea Fortunato, tenero virgulto salernitano (il papà cardiologo, la mamma bibliotecaria, il fratello Candido avvocato, promotore finanziario e procuratore calcistico, la timida sorella Paola che si sottopose a parziale trapianto pur di provare a salvargli la vita perchè il donatore compatibile si trovava in Canada e fu impossibile farlo partire in tempo) diventato in fretta campione di calcio, della Juve e della Nazionale. Aveva 23 anni, l’avversario che l’aveva consumato eppure non vinto, si chiamava leucemia linfoide acuta.

“Speriamo che in paradiso ci sia una squadra di calcio così che tu possa continuare ad essere felice correndo dietro ad un pallone. Onore a te, fratello Andrea Fortunato”: così due giorni dopo, singhiozzando, bloccandosi, interrompendosi più volte, Gianluca Vialli salutò l’amico ed il compagno, dentro la cattedrale di San Matteo. In lacrime tutta la città, dolore e sgomento dell’intera Italia calcistica: tutti affranti per un destino infame. Andrea invece l’aveva preso di petto. «Quando il male ti prende, devi semplicemente impedirgli di ammazzarti», disse un mese prima di andarsene. Per sempre. Destino infame. La malattia, le cure, dopo undici mesi la speranza che forse il peggio è alle spalle e poi la fine: una banale influenza, le difese immunitarie che s’abbassano, l’addio. Tutto troppo in fretta. Ad Andrea piaceva correre, nessuno sarebbe mai riuscito a fermarlo. Volava imprendibile, occhi azzurri penetranti e chioma fluente a coprirgli le spalle. Come fossero un sostegno, come piume per ali non ancora robuste. Volava sul prato. Troppo presto volato in cielo. «Non immaginavo quanto potesse essere meravigliosa anche una semplice passeggiata», disse nell’ultima intervista, una sorta di testamento spirituale. Ci si può ammalare ma bisogna lottare. E bisogna trovare le armi per sconfiggerlo, l’avversario, anche quando ti dicono che è imbattibile. E così, da quel 25 aprile del ’95, è iniziata la sfida, la battaglia. Il testimone è volato di mano in mano. Familiari, amici, medici. Il centro di trapianto intitolato ad Andrea a Perugia, l’associazione Fioravante Polito e la biblioteca del calcio Fortunato a Santa Maria di Castellabate, l’associazione Chianelli, l’Ail, i gruppi di volontari, la proposta di legge sul passaporto ematico. Sottoscritta da tanti club, approvata dalla regione Marche, approdata in Senato ma ancora bloccata da lungaggini e crisi. Questa sì che sarebbe una battaglia da vincere. Anche per Andrea. Una settimana fa a Winthertur il club “Juve Andrea Fortunato” ha organizzato una serata con raccolta fondi da destinare al Centro Ematico dell’ospedale di Perugia: in Svizzera c’era pure il fratello Candido. «Se uno pensa al vuoto pensa al nulla. Andrea manca come fratello, come figlio, come uomo ma Andrea non se n’è mai andato. C’è sempre, negli occhi e nei pensieri di chi ogni giorno vive e combatte e studia la malattia che se l’è preso». Domani 20 anni dall’ultimo sorriso, quello di chi ha lottato ma non s’era mai arreso.

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