La bandiera della Nord che pianse per Andrea

La carriera al Genoa, le esperienze con Scoglio e Bagnoli, l’ombra protettiva del salernitano Fortunato

SALERNO. Ancora adesso la “Gradinata Nord” gli riserva canti e cori appena mette piede nella tribuna del Ferraris: capitano e bandiera del Genoa - 412 presenze (174 in serie A) e cinque gol in 15 anni di carriera, secondo rossoblù nella storia del club più antico d’Italia - vorranno pur dir qualcosa. «Qualche anno fa Vincenzo col suo Bari venne al Ferraris: ci misero sotto, primo tempo impressionante. Ritmo, sovrapposizioni, attacco. Non so come ma vincemmo nella ripresa: mai visto risultato più bugiardo», ricorda Diodato Abagnara dopo una vita nella Salernitana, da anni segretario generale del Genoa e che per Vincenzo Torrente deroga al suo sacro ma laborioso silenzio. Una colonna del Genoa: 15 anni di carriera da giocatore, 30 anni fa esatti quando il ds rossoblù Spartaco Landini lo prese, giovanissimo, dalla Nocerina. E sotto la Lanterna fino al primo anno del nuovo secolo. Terzigno arcigno al quale in A toccò marcare Maradona («il più forte di tutti, ricordo l’emozione e l’attenzione nel seguirlo, al Ferraris facemmo 1-1 e Diego segnò solo su rigore», ricordò anni dopo) e che da giocatore ha avuto grandi maestri.

Il professore Franco Scoglio, anche lui uomo di mare, e il milanese Osvaldo Bagnoli. Di entrambi ha preso, come ricorda Rino Lavezzini («dall’uno aspetti caratteriali, dall’altro il modo di stare in campo e di affrontare il gruppo») che gli fece da “padre putativo” nella sua prima esperienza in panchina, perchè a 36 anni aveva appena smesso di giocare e non aveva ancora il patentino di prima. Era il 2003, e un destino accomunò Genoa e Salernitana: tutte e due retrocesse in serie C ma ripescate per il caso Catania.

Momenti indelebili, nella lunga carriera di giocatore rossoblù: la promozione in A (’89), il quarto posto in campionato dietro le grandi, la cavalcata europea diventata leggenda con la vittoria a Liverpool (prima squadra itlaiana a sbancare l’Anfield) ed una semifinale con l’Ajax che grida ancora vendetta, il primo gol in A (al Cesena), la retrocessione in serie B e gli anni difficili del club fino all’addio, da giocatore, nel 2000. Bandiera e capitano, a muso duro contro Fabio Capello in un pomeriggio surreale a Marassi, con il Milan che voleva continuare a giocare nonostante la morte di un tifoso rossoblù (Vincenzo Spagnulo), amareggiato ma senza mai darlo a vedere quando il ct della nazionale Vicini nel ’90 lo allertò per una convocazione in azzurro ma poi il suo nome fu depennato a beneficio di un altro ex tecnico granata (Gregucci), in lacrime quando in cielo volò Andrea Fortunato, a cui fece da chioccia nell’esperienza ligure, prima che Andrea volasse alla Juve e poi in cielo. Salernitano come lui, gli fu quasi “affidato” dalla famiglia Fortunato. «Andrea era solo un ragazzo, Andrea era la vita in persona», disse la roccia cetarese in un pianto interminabile, condito dai singhiozzi. Un legame intenso, come quello coi giovani. Da mister della Primavera, nel 2007 vince il Viareggio, poi passa agli Allievi dove forgia una nidiata formidabile: Sturaro, Perin, El Shaarawy. Un vero affare per il Genoa di Preziosi. (mi. spi.)