«L’informazione sportiva al top grazie alla radio»

Il giornalista e volto televisivo: «Certi racconti senza immagini sono bellissimi»

SALERNO. «Purtroppo in Italia per molti anni il giornalismo sportivo è stato considerato quasi di serie B. Invece mi pare evidente che anche in questo settore ci vuole tanta cultura. Parliamo di un ambito in cui hanno lavorato anche Gianni Brera e Sergio Zavoli». Marino Bartoletti ha alle spalle quasi cinquant’anni di carriera spesa tra tv, radio e giornali per raccontare lo sport agli italiani.
Lei ha raccontato lo sport tramite la carta stampata, la televisione e la radio: con quale di questi mezzi si può fare meglio informazione sportiva?
È una scelta crudele. Non amo sbilanciarmi, ma sono figlio della radio. Una delle creature più belle della mia carriera resta “Quelli che il calcio”: l’ho pensata perché appartengo alla generazione di quelli che, da piccoli, ascoltavano la radio. Era una fruizione diversa. Resto convinto che le cose raccontate da un bravo cronista alla radio siano più belle di quelle viste in televisione e raccontate da un bravo telecronista. Scelgo la radio, quindi. Ma c’è una complementarità totale tra tutti i mezzi. Nel mio percorso professionale ho fatto di tutto, non disdegnando anche il teatro ultimamente.
Dal giornalismo sportivo al teatro: qual è il filo conduttore che lega questi due mondi? Come comincia la sua avventura sul palcoscenico?
Cerco di parlare di favole anche a teatro. Avevo delle piccole idee e alcuni impresari mi hanno cercato e proposto delle idee che coincidevano con le mie. E allora è iniziata l’avventura con lo spettacolo in cui faccio da storyteller.
Tornando all’informazione sportiva: quanto è cambiato il mondo dello sport?
Noto un forte arretramento nei rapporti umani. Oggi è tutto filtrato da uffici stampa e comunicazione, da lookmaker… è difficile il rapporto personale con i campioni. Forse solo nel ciclismo questo legame esiste ancora. Tant’è che, profondamente scosso per la morte prematura di Scarponi, ho voluto essere al suo funerale percorrendo i 600 km che ci dividevano. Ai miei tempi intervistavamo finanche i calciatori nudi negli spogliatoi al termine delle gare. C’era un rapporto di fiducia e di intimità: non avevamo alcuna intenzione di imbrogliarci. Forse era tutto più facile. Era possibile telefonare a Maradona e dirgli “vengo a intervistarti”. Credo che oggi sarebbe impossibile una cosa del genere con chiunque. Nella vita c’è una selezione umana da cui non si può prescindere: devi guardare negli occhi l’interlocutore e capire se ti puoi fidare o meno. “Per favore, questa cosa non la scrivere” è una frase che mi hanno detto più volte. E magari io non la scrivevo, sapevo e coltivavo un rapporto umano e professionale. Le amicizie restano: nel mondo dello sport ho conosciuto alcuni degli amici più cari.
Il ricordo più particolare della sua carriera?
Sono stato arrestato per questa professione. Durante il Mundialito in Uruguay, nel 1980, ci fu una rissa dopo Argentina-Brasile che si protrasse anche negli spogliatoi: volarono schiaffoni e un militare mi credette colpevole. Mi portarono in questura e mi chiusero in una specie di cella. Prima ridevo come un matto, mi sembrava assurdo; poi mi incazzai. Ne venne fuori un piccolo caso diplomatico, con le scuse del comandante al console italiano. Raccontai tutto sul giornale, chiedendo alla redazione di non esagerare: titolarono il pezzo “Le mie prigioni”. Poi c’è una cosa che non avrei mai voluto fare: raccontare di ragazzi che amavo che hanno perso la vita. Purtroppo continua a succedere...
Chi è per lei il campione per eccellenza nel mondo dello sport?
Dino Zoff. Lo è per i valori morali che ha saputo trasmettere e per la simpatia inconscia che ha sempre regalato alle persone a cui voleva bene. Poi a me piace parlare anche di Maradona, quel campione che ho conosciuto va oltre gli evidenti peccati commessi. È come se Diego si fosse scisso in due: con un secondo Maradona che a un certo punto è venuto fuori e che voleva palesemente male al primo. Diego è stato un amico con una lealtà e un senso dell’amicizia che ho visto in pochissime persone. Una volta lo invitai alla mia trasmissione “Pressing” dopo Milan-Napoli, con lo scudetto sul petto della squadra campana. Quella partita andò male, in studio c’erano lui e Gullit: Maradona fu ospite solo nella mia trasmissione quell’anno. A fine serata gli dissi che era previsto un gettone di presenza ma lui non volle saperne. “Non devi ripetermi più queste cose, io vengo per te”, mi disse, facendomi capire il valore che dava all’amicizia. Peccato che in lui convivessero un Dr Jekyll e Mr Hyde. Credo che Maradona resti il miglior calciatore di tutti i tempi. Certo, c’è Pelé, ma non dimentichiamo una discriminante che fa la storia: Pelé ha fatto vincere squadre che avrebbero vinto anche senza di lui; Maradona no.
Chi sono stati i suoi maestri?
Brera, anche se poi tutti un po’ si spacciano per suoi allievi. A me resta il bel ricordo di tutte le volte che l’ho scarrozzato in giro in macchina fermandoci a mangiare nei posti più improbabili. Poi c’è Aldo Giordani, un maestro, il papà dei telecronisti della pallacanestro. E Zavoli, uno da cui ho imparato tanto.
Barbara Ruggiero
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(16 - continua. Le precedenti puntate sono uscite il 9, il16 , il 23 e il 30 gennaio; il 6, il 13, il 20 e il 27 febbraio; il 6, il 13, il 2o e il 27 marzo; il 4, il 10 e il 17 aprile)