LA LETTERA

Il Terzo Tempo dei rugbisti non è una “ipocrisia buonista”

Non è passato inosservato l’articolo, datato 7 marzo, riguardo i consigli da indirizzare ad un padre che vuole far diventare il proprio figlio un tifoso. Non è passato inosservato anzitutto perché è...

Non è passato inosservato l’articolo, datato 7 marzo, riguardo i consigli da indirizzare ad un padre che vuole far diventare il proprio figlio un tifoso.

Non è passato inosservato anzitutto perché è scritto in modo ironico, e quindi una risata può tirarla fuori volentieri. Non è passato inosservato, però, soprattutto ai tanti atleti salernitani che da tempo praticano lo sport citato nelle prime righe di quell’articolo.

Cito testualmente: “Ci vuole dedizione. È un attimo, e ti cresce appassionato di rugby. Poi faglielo capire che il terzo tempo a bere birra con gli avversari se hai vinto è divertente, ma se hai perso è un'ipocrisia buonista. Oppure che non ci si può fidare di uno sport in cui la palla rimbalza in modo imprevedibile”.

Potremmo capovolgerla così: “Ci vuole dedizione. È un attimo, e ti cresce appassionato di calcio. Poi faglielo capire che le Forze dell'Ordine in assetto antisommossa non sono i Power Rangers, che gli ultras non devono essere per forza violenti. Oppure che ormai il calcio è diventato talmente strano da essere tutto fuorchè uno sport, con regole non scritte, di telefonate, di soldi e pochi, pochissimi atleti veri”.

Beh, così non fa ridere in effetti. E no, non farebbe ridere neanche paragonando il tutto ad un qualsiasi altro sport. Perché ogni sport è diverso sia per la pura pratica, sia per la cultura sportiva che trasmette a chiunque lo pratichi o lo segua.

Partiamo da un presupposto di base: l'articolo - ironico - è vero. Soprattutto quando si definisce il calcio “una strana questione di passione”.

L'articolo è vero quando dice che basta un attimo a far diventare il proprio figlio un tifoso di rugby: perché istintivamente, i bambini, non calciano mai il pallone. Già, lo cercano con le mani e lo afferrano strettissimo, pur trattandosi del pallone col quale Grosso ha segnato il rigore vincente di Itailia - Francia nel 2006. E là accade la magia: ben venga se dovesse diventare davvero tifoso di rugby. Non dovrebbe sorbirsi inutili faide tra tifoserie, né controlli minuziosissimi da parte delle Forze dell'Ordine, Il tifoso di rugby ha tutto da guadagnare, perché una partita di rugby regala ad ogni vero sportivo emozioni indimenticabili: e quando, a fine incontro, si celebra il Terzo Tempo (che non è sfottò o ipocrisia, ma soltanto vera tradizione) lo si fa per ringraziare gli avversari con i quali si è giocato. Sì, avete letto bene: “con”, non “contro”. Perché l'avversario è tale solo per 80 minuti, ma senza di lui non avresti potuto disputare alcun incontro, e nel rugby si usa ringraziarlo a prescindere dal risultato.

L'articolo, datato 7 marzo, ha ragione quando si decide di renderlo ironico, ma ha torto quando lo si rende incomprensibilmente ironico. Soprattutto per chi, non giocando a rugby o non avendo mai vissuto l'esperienza di una giornata da tifosi di quella strana palla ovale, può sembrare quasi reale il discorso dell’“ipocrisia buonista” durante una bevuta di birra al Terzo Tempo.

Se vostro figlio dovesse nascere tifoso di calcio, o semplicemente dovesse mostrarsi abile nel gioco al piede, lasciate che lo sia. Ma, a quel punto, insegnategli al meglio il senso dell'ironia.

Vittorio Cicalese

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Risponde l’autore dell’articolo Corrado De Rosa:

Cari amici, vi scrivo da una località segreta. I rugbisti mi accusano di blasfemia. E certo, a leggere qualche post sui social network, verrebbe da pensare che trattasi di fatwa.

Mea culpa. Giammai riparlerò di rugby e si abbatta su di me l’ira funesta del protettore dei tallonatori se torno sul tema con ironia.

Pensavo che chi va al pub a bere col nemico dopo la battaglia, si sarebbe fatto una ragione di un colpo così basso (o, più sanamente, una risata). E che aver immolato alla causa dello sport dei duri e puri un fratello nel fiore della tarda adolescenza mi avrebbe tutelato.

Invece no: é un attimo, e si tira in ballo la violenza. Che con quello che provavo maldestramente a raccontare davvero non c’entra nulla. Sarebbe come a dire che non si deve scherzare sulla politica perché é causa di disordine sociale.

Il calcio, come tutte le passioni, é fazioso. Quindi lasciate che lo sia anch'io. E lasciate che un padre possa provare condividere una passione con suo figlio senza a tutti i costi tirare in ballo le questure.

Ho capito, comunque, che il rugbista é suscettibile. La prossima volta, per giocare con gli sliding door della vita, quelli che cambiano i destini di potenziali piccoli tifosi, prenderò in prestito qualche caposaldo della cultura delle danzatrici classiche. Così almeno non rischio le mazzate.

Un abbraccio.