«Il nostro calcio salvato dai soldi delle televisioni»

L’analisi del giornalista sul futuro dello sport più popolare del Paese

SALERNO. «Senza la televisione il calcio avrebbe un’esistenza grama, quasi vicina alla fine». Franco Esposito, una vita da redattore e inviato speciale del Mattino e del Corriere dello sport, ha le idee ben chiare su tutto quanto, negli ultimi anni, ha cambiato e influenzato il mondo del calcio e del giornalismo sportivo.

Ma allora la tv non è la causa di tutti i mali?

La televisione è famelica e cannibale. Tiene in vita il calcio. Paga e in cambio vuole tutto: gli orari comodi, lo spezzatino, le partite spalmate nel corso del weekend. La tv ha cambiato anche la terminologia di questo sport: i difensori si chiamano “esterni”, usiamo il termine “ripartenza” al posto di “contropiede”, per esempio.

Che cosa c’è che non va nel mondo del calcio oggi?

Le scommesse legalizzate in primis: si tratta di un avversario micidiale che mina la credibilità di questo sport. Più di una volta ho espresso pubblicamente le mie perplessità in merito: pensate ai cosiddetti “over” delle scommesse; laddove prima c’era un calcio stitico, spesso vediamo partite con tanti gol. A me viene il sospetto che ci si accordi per questo punteggio. E poi non mi piace che si vada allo stadio a tifare contro qualcuno, non per una squadra. Mi preoccupa una cosa: si perde la poesia. Prima si andava allo stadio con bandiere, sciarpe e il tifo era un grande sostegno alla propria squadra e basta. Oggi si tifa contro e viene a mancare lo spirito vero dello sport. Così ci troviamo a commentare di incidenti in occasioni di manifestazioni sportive…

Emerge una sua visione del calcio disincantata: è frutto di anni di esperienza o dei cambiamenti che hanno interessato questo mondo?

Il calcio non è mai stato il mio sport preferito; ho sempre amato la boxe. Ma a una certa età si guarda al mondo con disincanto, si è più scafati. Poi forse, stando un po’ a riposo, si è più esigenti e si vedono cose che prima non si notavano.

Secondo lei etica e calcio sono parole in antitesi?

Temo che l’etica abbinata al calcio sia una parola vuota. Purtroppo nella pratica non trova quasi mai applicazione: la troviamo solo nei discorsi. Gli episodi nobili ogni tanto ci sono ma restano sempre solo un’eccezione alla regola.

Parliamo del modo di raccontare il calcio: quanto è cambiato negli ultimi anni?

L’appetito della tv ha portato anche alla distruzione del giornalismo: la cronaca e il resoconto sportivo sono oramai superati. Poi c’è la tecnologia che ha reso tutto più semplice ma ha tolto fascino al mestiere. Pensiamo, per esempio, ai correttori di bozze che quasi non esistono più. Per quelli della mia generazione l’abusivato e i maestri erano l’università, una scuola importantissima. Io in fondo sono stato fortunato: il giornalismo, che era la mia grande passione, è stato il mio lavoro, mi ha consentito di girare il mondo e mi ha dato grandi maestri che oggi non esistono più.

Quale può essere oggi il modo vincente di fare informazione sportiva?

Oggi raccontare il calcio è estremamente difficile. Alle 19 abbiamo visto tutto: partita, gol, moviola, interviste. Se si continua a fare il giornale in maniera tradizionale, che significato avrà leggerlo il giorno successivo? Servono giornali di opinione, che raccontino le storie. Va bene pubblicare il tabellino che è memoria storica; ma pubblicare un articolo di cronaca come un tempo non ha più senso. Mi rendo conto che è un lavoro difficilissimo: si deve andare oltre. Ma non serve la scorciatoia di un pezzo arrangiato per pigrizia. Il segreto è scavare, andare dentro le cose. Purtroppo i giornali si vendono poco perché sono fatti male.

Chi è per lei il miglior giornalista sportivo di tutti i tempi?

Come maestro in assoluto direi Gino Palumbo. Mi diede un grande insegnamento appena cominciai a scrivere: mi chiese di raccontare le storie. Era un discorso che anticipava di trent’anni la storia del giornalismo sportivo… Poi ho una predilezione per Gianni Brera per il suo stile e perché era un grande studioso dello sport. Ci sono tanti nomi di modelli: per il ciclismo dico Bruno Raschi; per la boxe Remo Roveri e Giorgio Tosatti; Franco Dominici per le emozioni che sapeva trasmettere seguendo questo sport.

Nella diatriba tra Gianni Brera e la cosiddetta scuola napoletana di Antonio Ghirelli e Gino Palumbo, Franco Esposito dove si colloca?

Palumbo e Brera vennero addirittura alle mani a Brescia per sostenere le loro idee. Rivera fu il motivo del contendere. Palumbo lo difendeva, assieme a un certo modo di intendere il calcio, allegro e spensierato. Brera, invece, sosteneva che noi, inferiori dal punto di vista fisico rispetto alle altre nazioni, avremmo dovuto giocare con il battitore libero e con il catenaccio per contrastare la potenza fisica degli avversari. L’Inter con questo sistema vinse lo scudetto e tutti adottarono questo modello. La scuola napoletana invece era per un gioco aperto, garibaldino, corrispondente allo spirito di noi meridionali. Oggi pare che abbia avuto ragione Gino Palumbo. Ma non dimentichiamo che con il catenaccio abbiamo anche vinto i Mondiali del 1982.

Barbara Ruggiero

(5 - continua. Le precedenti puntate sono state pubblicate il 9, il 16 , il 23 gennaio e il 30 gennaio)

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