«Il calcio ha perso fascino È sempre più un’azienda» 

L’analisi della giornalista ed i consigli rivolti a chi si accosta alla professione

SALERNO. «Il mio primo articolo? Me lo firmarono “Aldo”. Forse proprio perché una donna che scrive di calcio e di serie minori era impensabile nel 1987». Alda Angrisani, di origini nocerine, vice caporedattore in Rai, racconta con ironia i suoi esordi nel mondo del giornalismo sportivo: dal calcio minore ai racconti della serie A e del trionfo della Nazionale italiana ai Mondiali del 2006.
Ma è tanto difficile per una donna entrare, da giornalista, in un mondo maschile?
Quando ho cominciato alla Rotopress ero l’unica donna. Ricordo come se fosse oggi l’incazzatura pazzesca dovuta alla firma sotto al primo articolo: Aldo Angrisani. Forse sembrava assurdo che fosse una donna a scrivere di calcio. A Napoli, all’inizio, fui bene accolta da tutti: avevo appena 18 anni ed i colleghi mostravano un istinto paterno nei miei confronti. Ero la giovane ragazzina a cui dare una mano. L’atteggiamento degli uomini che ti vedono occuparti di calcio è simile a chi pensa: “E che ci fa una donna qui? Tanto non capisce niente...”.
Per fortuna oggi le cose sono cambiate.
A Milano mi sentii subito isolata, per fortuna per poco tempo. Ricordo che alla Pinetina, quando seguivo l’Inter, una volta ci fu proprio un capannello di colleghi che mi esclusero forse perché ultima arrivata. Tornai a casa in lacrime e promisi tra me e me: “Un giorno dovranno chiamarmi per avere notizie”. E così è stato. Quella esperienza mi è servita: sono stata sempre disponibile con le nuove leve.
Qual è, a oggi, l’esperienza più bella della sua carriera?
La vittoria dell’Italia ai Mondiali in Germania. Ero partita al seguito del Brasile: fui con la squadra dall’inizio del ritiro. Non sono mai stata considerata da nessuno una rottura di scatole: eravamo come una famiglia. Poi il Brasile fu eliminato ed ero certa di dover tornare a casa. E invece mi chiamarono per farmi aggregare al seguito dell’Italia. Fu un esperienza bellissima. Ho ancora la foto con la Coppa del Mondo all’indomani della vittoria: fu bello anche per il coinvolgimento emotivo, con l’Italia c’erano tante persone che avevo incontrato nel corso della carriera: penso a Cannavaro, Ferrara, Materazzi… Io sono una di pancia: per me il rapporto umano è fondamentale anche sul lavoro.
Ma è vero che il rapporto umano nel calcio negli ultimi anni è diventato pressoché impossibile?
Non c’è più purtroppo. Un tempo era possibile viaggiare con la squadra in occasione delle trasferte, per esempio: era una cosa fondamentale. La perdita di tempo e quelle cose che fai quando sei completamente libero di testa diventano condivise: ti consentono di costruire un rapporto umano con i protagonisti. Oggi non è più possibile negli sport popolari perché è tutto filtrato dagli uffici stampa. Non c’è feeling con gli atleti e le interviste sono tutte uguali. Non hai la possibilità di avere un rapporto personale perché ci sono i diritti tv che regolamentano tutto e se qualcuno sgarra paga le penali. Gli uffici stampa decidono chi parla e magari lo stesso atleta lo rivedi in sala stampa dopo mesi e mesi. Che rapporto vuoi creare? Il discorso è semplice: le società sono aziende e le devono portare avanti. Ma si è perso molto.
Il calcio sta perdendo fascino?
È tutto bello in questo ambiente. Ma ci sono anche cose spiacevoli, come quando ho scoperto che nel calcio-scommesse erano implicate persone che conoscevo per lavoro: è stato uno choc. Stessa cosa per Calciopoli. Purtroppo dall’interno non te ne accorgi. E ti senti un po’ stupido per non aver capito tante cose ed essere stato un po’ Alice nel paese delle meraviglie.
Chi è per lei il vero campione dello sport?
Maradona resta una specie di icona ma non è il mio idolo. Credo che il più forte di tutti sia Ronaldo, quello vero, il Fenomeno. Perché l’ho conosciuto umanamente: non mi piace idolatrare qualcuno che non conosco. Non si è mai tirato indietro, disponibile con tutti, tifosi compresi. Ho vissuto infortuni, vittorie, la nascita del figlio: abbiamo condiviso molte emozioni e posso dire che è una persona sana.
Torniamo al giornalismo, chi sono stati i suoi maestri?
Giuseppe Pisani, che era il direttore della Rotopress e mi diede la possibilità di intraprendere questa professione. Se non avessi incontrato lui probabilmente avrei impiegato anni a trovare uno sbocco. Per me rappresenta il punto di partenza. E poi Gennaro Corvino, a Nocera, fondamentale negli anni in cui ho lavorato nelle televisioni private.
Se dovesse consigliare un giovane che si avvicina a questa professione, cosa gli direbbe?
È dura. Direi: studiate; improvvisarsi alla lunga non paga. Con l’avvento di internet tutti possono fare teoricamente questo mestiere. Serve imparare l’etica della professione perché spesso si perde di vista il significato del rispetto delle persone. Io sono la dimostrazione vivente che - pure senza appoggi, per una serie di fantastiche casualità e con una faccia da culo - si può riuscire. Se avete una passione, non demordete.
Barbara Ruggiero
©RIPRODUZIONE RISERVATA. (21- continua. Le precedenti puntate il 9, 16, 23 e 30 gennaio; il 6, 13, 20 e 27 febbraio; il 6, 13, 20 e 27 marzo; il 4, 10, 24 aprile, l’1, l’8, il 15, il 22 e il 29 maggio)