«Il calcio di oggi è più pulito Ne sono sicuro»

La tesi originale del giornalista napoletano «Nel passato non c’erano tanti controlli»

SALERNO. «I miei compagni di lavoro restano il ricordo più bello della carriera». Parola di Luigi Necco, classe 1934, una vita da giornalista consacrata, tra l’altro, per quello che riguarda lo sport, da quindici anni di servizio per la storica trasmissione “Novantesimo minuto” di mamma Rai.

Gli anni Settanta restano epici per chi raccontava il calcio in tv. “Novantesimo minuto” era un appuntamento fisso per tutti gli amanti di questo sport, l’unico aggiornamento dagli stadi del paese dopo una domenica di calcio; un vero e proprio fenomeno di costume.

Come ci si sentiva nel ruolo di giornalisti sportivi d’avanguardia?

Eravamo molto affiatati. Come si possono dimenticare, per esempio, Maurizio Romano, Cesare Castellotti, Tonino Carino e Paolo Valenti? Sono alcuni dei volti storici di quella trasmissione. Eravamo un gruppo di grandi compagnoni e tutti eravamo cronisti prima ancora che giornalisti sportivi. Ci occupavamo quotidianamente di giudiziaria, bianca, nera... Seguivamo la vita quotidiana delle nostre città e la domenica diventavamo tifosi che raccontavano le gesta delle squadre in campo.

Oggi assistiamo a una settorializzazione dei vari tipi di informazione. Sarebbe difficile, di questi tempi, trovare un cronista di giudiziaria prestato allo sport e viceversa. Come se lo spiega?

Il calcio di oggi è molto più tecnico. I giornalisti devono sapere tutto del mondo del pallone, fare valutazioni anche su scala mondiale. Il mondo è diventato più percorribile: un calciatore italiano va tranquillamente a giocare in Cina; Maradona vive a Dubai; si gioca alle scommesse a Napoli e i soldi finiscono a Singapore, per esempio. Il globo si è ristretto ma allo stesso tempo diventa necessario sapere tutto di un determinato settore per parlarne al meglio.

È cambiato anche il modo di raccontare il calcio?

Il nostro mondo era l’interpretazione da tifosi e da osservatori. Avevamo una impostazione un po’ più personale e meno tecnica; un tantino più umorale, vicina ai sentimenti della piazza. Oggi assistiamo a racconti molto tecnici che non hanno nulla a che vedere con gli svarioni o con le divagazioni degli umoristi di “Novantesimo minuto”. Diciamo che il giornalismo contemporaneo è molto aderente al mondo del calcio di oggi.

Ne consegue che il mondo del calcio è cambiato molto nel frattempo.

È diventato molto più veloce sotto il profilo della tecnica. Vediamo più spesso manovre estremamente semplici e c’è una visione quasi aritmetica della disposizione dei giocatori in campo. Personalmente mi diverto, ma mi rendo conto che i calciatori hanno bisogno di essere atleticamente molto più preparati di prima. Avere un campione nella propria squadra aiuta, certo; ma oggi gli allenatori pretendono un’adesione totale al modulo e un giocatore deve inserirsi in quel modulo.

È d’accordo con chi dice che il mondo del pallone oggi è business e poca passione?

Si fa tutto quello che crea business e non quello che appassiona. Nonostante tutto, però, il calcio resta lo sport più spettacolare e capace di coinvolgere le masse.

Un successo che non è scalfito neanche dalle costanti ombre degli illeciti che, con una cadenza periodica, sembrano sconvolgere il mondo dello sport.

Io ho una mia convinzione: oggi si parla di più degli illeciti; ma io ho il sospetto che siano di un numero addirittura inferiore rispetto al passato. Ci sono tanti controlli nel mondo del calcio: diventa quasi impossibile imbrogliare. Prima, invece, poteva essere paradossalmente più semplice.

Nei primissimi anni Ottanta lei è stato gambizzato dalla camorra dopo aver raccontato di un legame tra il mondo del calcio, l’Avellino in particolare, e la Nuova Camorra Organizzata. Spieghiamo come andarono le cose.

L’episodio risale agli anni in cui la camorra dominava tutto ed era in qualche modo legata anche al calcio in Campania. Era il 1980. E al Tribunale di Napoli era in corso il processo a Raffaele Cutolo. Nella pausa di un’udienza, Antonio Sibilia, allora presidente dell’Avellino, accompagnato dal calciatore Juary, portò in dono una medaglia a don Raffaele. E il calciatore fu costretto a baciare Cutolo sulle guance. Andò in scena in quel momento la sottomissione di una intera squadra di calcio al boss della camorra. Io lo raccontai e fui punito dopo qualche tempo. Seppi che Cutolo si rifiutò di punirmi dicendo che i giornalisti non si toccano. A organizzare l’agguato ai miei danni fu Casillo, che era luogotenente del clan. Ma questo è un episodio che non ha niente a che fare con il calcio e con lo sport.

Luigi Necco è una figura poliedrica: è conosciuto come giornalista, filosofo, scrittore, archeologo… Qual è il mestiere più bello?

Ho un solo mestiere: quello di giornalista. Mi piace l’archeologia perché in quel settore ho mosso i primi passi nel mondo di lavoro. Fu naturale passare, poi, al giornalismo. E posso dire di essere stato fortunato, visti i tempi difficili: mi si aprì, a mo’ di spiraglio, la porta della Rai e ne approfittai.

Barbara Ruggiero

(3 - continua. Le precedenti puntate sono state pubblicate il 9 e il 16 gennaio)

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