«Giornalisti e sostenitori sono cambiati tantissimo»

L’editorialista del Mattino: «Prima più passionali, ora sono più competenti»

NAPOLI. «Una volta, ero in un paese sperduto della California, e dovevo telefonare a Napoli. Un ragazzino, appena mi sentì dire “Napoli”, mi venne accanto e mi gridò: “Maradona”. Ecco questa è la popolarità del calcio». Mimmo Carratelli è uno dei maestri del giornalismo contemporaneo. Ha iniziato la sua carriera nei primissimi anni Cinquanta e ha vissuto da protagonista tutti i più recenti cambiamenti del mondo del giornalismo e dello sport, il calcio in particolare, senza mai accantonare la passione per il Napoli: qualcuno lo ha definito il database vivente della storia azzurra.

Partiamo dall’inizio: come nasce la grande passione di Mimmo Carratelli per il giornalismo?

Fu tutto molto naturale: mio padre era responsabile della redazione napoletana del Giornale d’Italia e cominciai a scrivere sotto la sua guida. Per me è stato un vero maestro: era molto critico nei miei confronti, mi ha fatto abbassare le ali quando pensavo di spiccare il volo e mi ha guidato bene, specie all’inizio. Il mitico ruolo dei maestri nel mondo del giornalismo di un tempo.

Vogliamo approfondirlo?

Erano anni in cui contava molto trovare una guida. E io, per fortuna, ne ho avute diverse. A Napoli c’erano molti giornali: per i giovani c’erano tante possibilità di entrare in redazione. Erano tante scuole. Entravi da abusivo, cacciato e poi ripescato magari. Nei primi tempi, più che la qualità ci voleva il carattere: le angherie erano tante e dovevi essere molto motivato per andare avanti. Oggi il mondo va di fretta e, dopo l’avvento delle tv e radio private, l’ambiente si è quasi ingolfato. Erano altri tempi anche per chi raccontava le gesta di una squadra. Eravamo 4/5 persone a seguire il Napoli e c’era più vicinanza tra le parti. Oggi i giornalisti non si contano più e sono subentrate delle barriere legittime considerato l’assalto massiccio dei cronisti.

Per qualche periodo il lavoro l’ha portata lontano dalla Campania. Quanto è stato difficile stare lontano dalla sua terra?

Sono stato cinque anni a Bologna. E qualche anno prima a Milano: fui chiamato dal direttore della Gazzetta dello Sport, Gino Palumbo. Noi cronisti avevamo il mito di Milano. Sul finire degli anni Settanta, però, non mi ci trovai: vidi una città allo sbando, era il periodo del terrorismo. Alla fine, tradii Palumbo anche perché era tutto diverso. E poi in un giornale sportivo non mi trovo a mio agio; scrivo poco di tecnica e tattica e ho sempre preferito un quotidiano generalista. Anche se Palumbo era uno che viaggiava almeno dieci anni avanti: mi voleva mettere a capo di un compartimento creato ad hoc per vari supplementi al giornale. Già allora parlava di cd e dvd allegati al quotidiano. Alla fine tornai al “Roma”, nella mia Napoli.

Torniamo al calcio: quali sono i cambiamenti tangibili di questo sport rispetto agli inizi della sua carriera?

Sono cambiati i tifosi e i giornalisti: sono più competenti; un tempo eravamo solo più passionali. Poi ci sono più soldi, si pensa più agli affari e i rapporti umani non sono più quelli di un tempo. Noi giornalisti tanti anni fa eravamo sempre insieme ai calciatori, non c’erano barriere. Nascevano così degli affetti che si sono prolungati nel tempo. Io, per esempio, mi sento ancora con personaggi incontrati per lavoro e con cui è nata una vera amicizia. Penso a Panzanato, Altafini, Zoff...

Come si spiega il successo del calcio in Italia: è l’unico sport che resiste a ogni tipo di crisi e riesce sempre a trascinare le masse.

È, nei fatti, lo sport più semplice da capire. Puoi non capire un fuorigioco o un fallo tattico ma poi a furia di guardare si capisce. Poi è meno lento di tanti altri sport. E, inoltre, cosa da non sottovalutare, ci sono dei campioni che sono entrati nel mito e hanno contribuito a rendere questo sport ancora più popolare.

E a questo punto viene spontaneo chiedere: chi è per Carratelli il campione assoluto del mondo del calcio?

Mi viene da dire subito Maradona per tutto quello che ha rappresentato per Napoli e per il suo forte legame con la città. Ma ci sono anche altri a cui sono molto legato e che rappresentano il meglio della napoletanità. Mi riferisco ad Arnaldo Sentimenti, portiere, originario del modenese, che venne a Napoli a venti anni e non se ne andò più; e a Totonno Juliano: un esempio per serietà, impegno, devozione e attaccamento a questa terra.

Chi potrebbe essere, invece, il miglior giornalista sportivo di tutti i tempi?

Gianni Brera senza dubbio per il suo linguaggio originale e brillante. Ma ce ne sono tanti altri. Penso a Gianni Mura, Roberto Beccantini, Maurizio Crosetti. Ai miei tempi c’erano tanti grandi giornalisti sportivi. Mi viene in mente il nome di Vladimiro Caminiti, Gianpaolo Ormezzano, Gianni Clerici per il tennis. Ma c’erano tantissimi bravi giornalisti alla Gazzetta dello sport: noi imparavamo leggendo i loro scritti. Oggi forse noi non siamo stati tanto bravi a lasciare qualcosa alle nuove generazioni.

Barbara Ruggiero

(4 - continua. Le precedenti puntate della rubrica “Carte False” sono state pubblicate il 9, il 16 e il 23 gennaio)

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