Ecco i cinque capi d’accusa di un inizio da dimenticare

Il nervosismo del tecnico è il sintomo di un malessere profondo e pericoloso Scelte tattiche sbagliate e mercato senza logica: anche il club ha le sue colpe

SALERNO. Forse siamo già ai saluti. “Se a Cesena arrivasse un altro disastro bisognerebbe intervenire” trapela dalle segrete stanze. Che la Salernitana di Beppe Sannino sia vestita poco e male, è un annuncio che si ripete ormai a scadenze fisse. Un dato matematico oltre che un’impressione da armata Brancaleone: sei gare ufficiali, 4 pari e 2 ko, ultimo posto, difesa sempre bucata nelle ultime 5 gare, gioco singhiozzante. Sono i numeri che effondono un profumo di ciclo a rischio dopo solo due mesi. Ma non sono solo i numeri.

1. Il nervosismo di Sannino. L’ansia da prestazione fa spesso cattivi scherzi. Dovrebbe saperlo bene il tecnico, 60enne scafato, non uno alle prime armi. È da quando ha preso possesso del timone – dopo la lunga attesa da congelato in attesa che Simone Inzaghi restasse alla Lazio – che fa di dichiarazioni stereotipate e banali, piani e programmi. Ansiogeno, nevrotico, isterico: la reazione in sala stampa dopo il ko col Vicenza, «ascolto una volta sola poi non ascolto più perchè voi dite solo stronzate» è il sintomo di un malessere profondo e pericoloso che alberga nel cuore di un allenatore che pare aver perso già la bussola. Parole da assediato («pensate ai gol che prendevate lo scorso anno»), da chi s’è già fatto avviluppare dalla sindrome del nemico («il vostro motto è distruggere»), sentimento che frulla nel cervello dei soliti dirigenti granata. Magari sente il terreno franare.

2. La confusione e il distacco. Atteggiamenti e parole che fiaccano il pensiero, che portano a repentini e clamorosi dietrofront. L’ultimo? Appena una settimana fa aveva detto: «Rosina trequartista? Inorridisco». Col Vicenza Rosina ha giocato da trequartista, ruolo che per condizione fisica e composizione della rosa la Salernitana non può permettersi, almeno al momento. I continui cambi – dal 3-5-2 al 4-3-1-2 dopo aver sperimentato in estate il 4-4-2 – hanno aumentato la confusione sul prato, ritardato il progetto di crescita tattico e umorale del gruppo, congelato il processo di identificazione. Imbambolati e impacciati (per le terza volta sotto dopo nemmeno 10’) i giocatori paiono risentirne, come schiacciati dalla pressione che proprio Sannino mette dentro. C’è il rischio di distacco tra le due (ma forse tre, contando pure società e proprietà) componenti (sarà stata solo una scelta motivazionale quella di Sannino di rientrare 5’ prima della squadra all’intervallo?) che si evince pure dalla reazione dei giocatori, una volta sotto. Così come le parole di Rosina e Della Rocca – tese alla normalizzazione – dopo lo show in sala stampa.

3. Gli equivoci tattici. Troppe incertezze, troppe modifiche in corsa, troppe repentine bocciature. Sannino è tecnico che nasce col 4-4-2, modulo che avrebbe voluto proporre da granata. Provato in ritiro sino alla prima di Coppa, ha subito abiurato, cambiandolo nelle ultime due gare e accingendosi a farlo pure a Cesena. «Ha conosciuto le caratteristiche dei giocatori, ora deve farli rendere al meglio». La scudisciata di un sempre più insoddisfatto Lotito ha colpito in pieno. Due esempi che valgono per altri. Il ruolo di Odjer (così si perde la sua capacità di recuperare palloni) e l’abbandono al destino della coppia gol Coda-Donnarumma. L’assenza di lucidità dimostrata anche a gara in corso, con cambi ritardati, inadeguati, di assetti e di uomini, lo inchioda a responsabilità precise. Quella frase rivolta ai tifosi, «qui la garanzia sono io, tatee tranquilli», adesso risuona almeno beffarda e sinistra.

4. Il mercato. Non l’ha detto ma chissà, ci arriverà. Dal mercato sia spettava qualcosa di diverso. E qui, come capitato ai suoi predecessori, tocca riconoscere un alibi all’allenatore. Da psicanalisi le condotte della società. Il diesse Fabiani c’era lo scorso anno e c’è pure adesso. Sannino lo aveva bloccato a giugno, in tre mesi non si è riusciti a trovare una sintesi. Si è andati a strappi. Si poteva e doveva ripartire dallo scorso anno: un esterno alto – confermando Nalini a destra – per valorizzare i due bomber, un centrocampista di qualità, due terzini veri e un centrale difensivo. E invece il giocattolo è stato smontato e appare difficile, adesso, dargli una chiara collocazione sul prato.

5. L’assenza. Lotito finora ha parlato da lontano, Mezzaroma dopo l’apparizione col Verona non si è più visto. Il monito dello scorso anno non è servito. Più che delegare e lasciar fare, ora la proprietà deve far sentire il suo peso. Sannino non è l’unico responsabile.

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