LA STORIA

Dario Socci, un montante per il riscatto

Il boxeur è fra gli atleti italiani più affermati al mondo

SALERNO - Da più di dieci anni in giro per il mondo, di recente ha scoperto il piacere di viaggiare con sua madre. È la storia di Dario Socci, pugile salernitano 29enne, tra i più affermati d’Italia. Sogna di combattere a Las Vegas, all’Mgm Grand Arena, considerata La Mecca della boxe e tra le sue ambizioni c’è anche quella di fare rientro nella sua città. «Vivere lontano da casa non è semplice, soprattutto quando ti trovi in posti come il Messico, dove spesso la povertà fa paura», racconta il pugile salernitano che ha mosso i primi passi sul ring, all’età di 16 anni, con gare amatoriali fino a firmare a 21 anni il primo contratto a New York. Il suo percorso pugilistico ha inizio alla Metropolis Boxe al centro sociale di via Guido Vestuti, a Salerno, palestra che ospitava gratuitamente ragazzi “difficili” - attualmente chiusa, a causa di mancanza di permessi, ndr -, quasi per caso. Dario è riuscito con la boxe e attraverso la sua disciplina a canalizzare il proprio temperamento aggressivo. «È un vero peccato che la palestra nella quale sono cresciuto sia chiusa. La Metropolis ospitava giovani che, come me, non potevano pagare nessuna retta per fare sport - spiega Socci –. Il maestro era di buon cuore: negli anni ha accolto giovani provenienti da diverse realtà, ragazzi di strada che hanno avuto problemi familiari, con la droga o provenienti dal carcere minorile». Dal ring della zona orientale è iniziata la sua escalation. Dopo aver trionfato in tre match da dilettante, Socci ha avuto l’opportunità di partecipare a un campionato interregionale del Sud Italia, vincendolo. Il primo passo per delineare il suo percorso pugilistico con ottimi risultati. Culminato con la carriera da professionista: ha iniziato vincendo un titolo internazionale in Germania, due anni fa. Ha combattuto per il titolo intercontinentale dei pesi welter IBF in Sudafrica col campione mondiale IBO Tkiso. Tra gli eventi più importanti, si ricorda la sua partecipazione al Radio City Music Hall, negli Stati Uniti. Per un periodo ha indossato i guantoni in Giappone, spesso va a Singapore e in Brasile, dove si allena per le arti marziali miste, tra le sue passioni. Da due anni, Dario vive in Messico, dove ha firmato un contratto. Il suo mondo è fatto spesso di pugili che hanno sofferto da giovanissimi, magari estremamente poveri e con disagi familiari che, con la boxe, hanno trovato un riscatto, fino a toccare le vette più alte. «A me la boxe ha dato tutto, mi ha messo in condizione di costruirmi una vita migliore», sorride Socci. «Gli sport da combattimento aiutano chi è violento più chiuso ad autocontrollarsi o ad acquisire sicurezza, magari i ragazzi che subiscono bullismo». Nel corso della carriera ha cambiato più volte il suo punto di riferimento: «Il mio idolo è Floyd Mayweather», conclude Dario Socci. «Un pugile partito dal basso, che con la dedizione e il sacrificio è diventato il più forte al mondo». Un modo di boxare “gourmet”, sempre composto e preciso, questa resta la sua sfida migliore.

Afn/Rosita Archimio Sosto