lutto nel mondo del calcio

Addio a Nenè, il brasiliano di Cagliari

Era uno degli eroi dello scudetto, aveva allenato anche la Paganese

Ne-ne-ne-ne-ne-ne. Quel nomignolo ereditato dal padre, terzino e capitano del Santos negli anni Cinquanta, all’Amsicora di Cagliari diventava un’eco infinita. Nenè. La folla lo chiamava, osannava, sopratutto lo adorava. Claudio Olinto De Carvalho, classe 1942, portava impresse nelle movenze, nella tecnica e nella potenza, le stimmate del campione. Un repertorio completo, a cominciare dal dribbling fulmineo, da novello Garrincha. Quando con il pallone fra i piedi caracollava e si fermava davanti all’avversario che manco si sognava di intervenire temendo di essere infilzato da una delle sue straordinarie finte, cominciava il gioco del gatto con il topo: un movimento da una parte, un piede messo davanti alla sfera rimasta intanto immobile quasi appiccicata al terreno. Il pubblico rideva, applaudiva, incitava. Durava un po’ questa danza, 6-8-10 secondi di samba, poi inevitabilmente Nenè partiva e lasciava l’avversario sul posto, per puntare dritto verso la porta e magari sparare una delle sue micidiali bordate di destro, oppure scattare sull’ala e crossare per il colpo di testa di Gigi Riva.

Per quello era facile sentire sugli spalti frasi del tipo «quando Nenè ha il pallone io sono tranquillo». Come dire: qualcosa succederà. E tanto è successo grazie a questo campione che ha giocato nel Cagliari 311 partite in serie A (secondo solo a Daniele Conti in maglia rossoblù) distribuiti in dodici campionati e segnato 23 gol diventando campione d’Italia nel 1969-70, e chiudendo la carriera di calciatore nel 1976 con la prima amara retrocessione del Cagliari in serie B.

L’inizio della carriera. Il giocatore nato a Santos il primo febbraio del 1942 aveva iniziato la carriera con la maglia bianconera del Santos a fianco di calciatori del calibro di Pelè e Sormani. Nella squadra della cittadina dello stato di San Paolo aveva già giocato suo padre Herminio, anche lui soprannominato Nenè. Il ragazzino, titolare con la maglia numero 11 dal 1961 infila una serie impressionate di successi: il campionato paulista del 1962, la Taça do Brasil del 1961 e 1962, due coppe Libertadores (1962 e 1963) e una Intercontinentale. In tutto gioca 54 partite e segna 24 gol. La tournèe del 1963 in Europa è decisiva. Gianpiero Boniperti lo vede e se ne innamora, portandolo alla Juventus, dopo le iniziali ritrosie e l’immancabile paura di saudade del giovanotto. Boniperti deve sostituire nientemeno che il gigante John Charles e affida al brasiliano la maglia numero 9. Nenè se la cava bene: segna 11 gol in 28 gare. Ma qualche attrito, in particolare col bizzoso Sivori, e il rendimento che si voleva ancora migliore segnano il suo futuro.

L’arrivo in Sardegna. Nenè sbarca a Cagliari nel 1964 grazie all’occhio lungo di Andrea Arrica. La squadra è appena stata promossa in serie A. L’accordo con Boniperti rappresenta uno dei primi acquisti a rate del calcio italiano: 600 milioni di lire (310 mila euro) dilazionati in quattro anni. Nenè diventa rossoblù insieme con un altro colored, Alberto Gallardo, peruviano. Quest’ultimo è il centravanti che viene affiancato a Riva, mentre per Nenè inizia una nuova carriera, quella dell’ala destra, nello scacchiere disegnato dall’allenatore Sandokan Silvestri. Grazie anche alle straordinarie volate del brasiliano sulla fascia, il Cagliari si salva. Nenè, giusto per non smentirsi, segna cinque reti, aprendo il suo score l’11 ottobre del 1964 nel 2-2 di Mantova.

La galoppata dell’Olimpico. Una delle caratteristiche principali di Nenè era la sua grande potenza fisica. Sulla fascia diventava imprendibile se riusciva a guadagnare spazio e velocità. Una per tutte basti rivedere la splendida galoppata all’Olimpico contro la Roma del 3 dicembre 1967, un video cliccatissimo su youtube. Nenè prende palla nell’area rossoblù quindi parte sulla fascia saltando prima un giallorosso, quindi a metà campo gli si fa incontro un altro romanista, Ferrari, Nenè allunga il pallone e continua a correre, il centrocampista giallorosso lo insegue e giunto al limite della propria area prova alla disperata a sgambettare l’avversario, non riuscendovi. A quel punto Nenè mette la palla al centro e regala a Riva il più comodo degli assist. Quel giorno il Cagliari vinse per 3-2 contro la Roma. Nenè era abituato ad azioni del genere ma anche, per le sue origini, a far gol. Il repertorio era completo. L’anno dello scudetto, ad esempio, segnò all’Amsicora di testa contro l’Inter battendo in elevazione Burgnich, quindi contro la Roma dribblando all’interno dell’area, e contro il Palermo con una legnata di inaudita potenza dal limite dell’area. Contro l’Inter, nel 1967, fece gol su punizione da 40 metri battendo un portiere espertissimo come Sarti.

Il ruolo. L’eclettismo di Nenè lo si può arguire soprattutto dai ruoli ricoperti. Partito come attaccante pure con il Santos e con la Juve, nel Cagliari per cinque stagioni fa l’ala destra. Nell’anno dello scudetto, Arrica porta in rossoblù l’ala destra della nazionale italiana, Angelo Domenghini. Scopigno quindi dà a Nenè la maglia numero 8 e lo trasforma in centrocampista, mezz’ala destra. Ovviamente Nenè non fa una piega. È un calciatore universale, che sa difendere, contrattaccare, segnare. E continuerà a dimostrare la sua classe anche negli anni successivi, quando viene spostato spesso anche alla mediana o addirittura nel ruolo di libero. Accompagna il Cagliari per 12 stagioni sino alla triste retrocessione in serie B del 1976.

Fine carriera. Dopo aver chiuso con la carriera di calciatore, diventa allenatore. Allena la Paganese e il Quartu Sant’Elena. Ma si distingue soprattutto nelle giovanili: Fiorentina, Cagliari, Juventus. Sino al 2002, quando lascia il calcio. Inizia a quel punto una parabola discendente. Vive da solo a Cagliari, lontano dalla moglie che aveva sposato a Torino nel 1970 e dai due figli Ruben e Giada. Si ammala e nel 2011 resta per diverso tempo ricoverato in rianimazione al Policlinico di Monserrato. Una grave malattia al cranio ne mina le capacità motorie e neurologiche. Con l’aiuto dei compagni, visto che la sua pensione è molto bassa, viene ricoverato quindi in una struttura sanitaria di Capoterra, dove vive gli ultimi anni fino alla scomparsa avvenuta all’alba di ieri.

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