«È cambiato davvero tutto Il mestiere è una babele» 

Il popolare giornalista analizza il difficile momento della professione

SALERNO. «Mi ritengo fortunato ad aver attraversato uno dei periodi più belli della storia della radio, quello degli ultimi romantici, quando il calcio aveva ancora molte sfumature in bianco e nero». Bruno Gentili, vicedirettore di Rai Sport, già telecronista della nazionale italiana di calcio, ha seguito sul campo tutti i cambiamenti che negli ultimi anni hanno interessato il mondo dell’informazione sportiva, in particolar modo radio e televisione.
Oggi siamo più abituati a vedere lo sport che a farcelo raccontare: è questo il principale cambiamento?
Negli ultimi venti anni i mezzi di informazione, con l’avvento della pay per view, si sono molto evoluti: è cambiato, ampliandosi, l’ascolto per radio e tv. Oggi anche un bambino con un semplice cellulare può seguire qualsiasi cosa stando lontano da casa. Io parlo di “babele dell’informazione”: abbiamo tutto e ognuno è libero di scegliere il modo più veloce e rapido per essere informato. Poi siamo diventati un po’ tutti giornalisti. Anche i giornali sono stati costretti ad adeguarsi per non essere battuti da questo flusso di notizie in tempo reale. Sui giornali c’è molta meno cronaca e più approfondimenti. La notizia non è più strettamente legata al fatto; va oltre. Cambia anche il formato dei giornali: è diverso il modo di vivere, i ritmi sono frenetici e la praticità diventa il fattore determinante.
E il linguaggio, il modo di raccontare il calcio, come evolve?
Il linguaggio è più asciutto, meno paludato. Ma tutto questo è reso possibile dall’evoluzione del gioco del calcio. Cambia il modo di fare la radiocronaca perché il pallone si muove più velocemente in campo e i ritmi e le cadenze del cronista devono essere più stringate. Secondo me ci sono tre squadre che hanno cambiato il modo di raccontare il calcio: l’Ajax negli anni ‘70, con il suo gioco avvolgente, il Liverpool degli anni ‘80 e il Milan di Sacchi, che si adattava a un pressing molto veloce.
Come nasce la sua passione per il giornalismo?
Me l’ha trasmessa mio padre, giornalista del Messaggero. Da piccolo giocavo a inventare telecronache con i soldatini schierati a mo’ di calciatori sul pavimento. Dopo varie collaborazioni, approdai al Gr1 quando la redazione era piena di mostri sacri: De Luca, Provenzali, Ciotti, Ameri, per citarne alcuni. In radio ti sentivi al centro dell’universo e del mondo dell’informazione.
Chi sono stati i suoi maestri?
Mio padre e Massimo De Luca, un grande professionista che mi ha letteralmente accudito. Massimo ha riposto grande fiducia in me e abbiamo vissuto tante avventure insieme sin dai tempi della radio. È con lui che sono approdato in tv, quando è diventato direttore: avevamo lavorato sempre in perfetta simbiosi e mi ha convinto a passare al grande schermo.
Professionalmente lei nasce radiocronista e poi passa alla tv: qual è il mezzo di comunicazione che preferisce?
Porto nel cuore le radiocronache: mi hanno insegnato a vincere gli imprevisti e ad essere sempre pronto per le difficoltà. La radio asciuga la sintassi, dà una grande capacità di sintesi e allo stesso tempo consente di arricchire il vocabolario; insegna gli elementi che sono i tratti distintivi del racconto radiofonico: essenzialità, chiarezza e semplicità.
Qual è oggi, secondo lei, il mezzo di comunicazione più adatto a raccontare il calcio?
Se parliamo di radio e tv la scelta è difficile perché sono due mondi differenti. La radio ha ancora una grande e indiscutibile funzione di servizio pubblico. In radio, al contrario di quanto accade in tv, si offre il prodotto gratuitamente. Peccato, però, che spesso la radio sia considerata un po’ ai margini e che ci siano pochi investimenti, anche se si sta lavorando per la radiofonia digitale. Lo sport ha un valore e un ruolo strategico: garantisce grossi introiti pubblicitari e la fidelizzazione.
Tra tutti i racconti sportivi, qual è quello che porta nel cuore?
Ce n’è uno drammatico, che mi è rimasto dentro: la tragedia dell’Heysel. Ero allo stadio con Enrico Ameri, ero il suo secondo. Mentre lui era in postazione io andai a verificare cosa fosse successo. Ho visto con i miei occhi la morte nello sport: una sensazione bruttissima, tanto che per un certo periodo mi allontanai da questo mondo.
E il ricordo più emozionante?
La prima intervista targata Rai a Maradona, un bel colpo giornalistico, in cui annunciò che stava per partire per Napoli. Resto, poi, molto affezionato alla cronaca di Italia-Olanda del giugno 2000 ad Amsterdam. In uno stadio interamente arancione commentammo una partita incredibile con il cucchiaio di Totti e i rigori parati da Toldo. Un’altra bella pagina resta Inter-Sampdoria, telecronaca del 2005, con l’Inter sotto di due reti che a cinque minuti dalla fine capovolge il risultato della gara con tre gol.
Chi è, secondo lei, il campione sportivo di tutti i tempi?
Roger Federer. Ritengo sia un miracolo della natura per continuità, serietà e bravura.
Barbara Ruggiero
©RIPRODUZIONE RISERVATA. (24 - continua. Le precedenti puntate sono state pubblicate il 9, 16, 23 e 30 gennaio; il 6, 13, 20 e 27 febbraio; il 6, 13, 20 e 27 marzo; il 4, 10, 24 aprile, l’1, l’8, 15, 22 e 29 maggio, 5, 12 e 19 giugno)