IL RACCONTO

Vico e il Cilento: Vatolla epicentro della modernità

Nel “bellissimo sito di perfettissima aria” scoprì Platone e il fascino della filosofia

Vatolla, antichissimo borgo di origine lucana, è uno dei tanti piccoli paesi della nostra provincia custodi di preziose memorie. La sua è una storia ultramillenaria. Ha assunto un ruolo di notevole importanza strategica fin dall’epoca romana, grazie alla sua invidiabile posizione: sentinella di quella strada (la cosiddetta “Via di Laureana”) nota fin dai tempi più antichi, che collega la costa con l’interno del Cilento. Vatolla ha ricoperto un ruolo di non secondaria importanza in epoca longobarda, normanna, sveva, angioina e aragonese. La strada per arrivarci inizia dalla pianura di Paestum, lasciando alle spalle la greca Agropoli e l’eco marina e le sue spiagge. Si prende la via tortuosa dei monti che porta a Laureana e a Perdifumo tra ulivi, lecci, castagni querce, cui altre piante a rari intervalli si vedono mescolarsi. E un vario addensarsi di selve si profila inclinato agli orli di oblique vallate. La strada circonda e rasenta abissi, e vi si coglie una solenne solitudine, un silenzio sospeso nel vuoto. Nudi macigni si sporgono sulla fosca quiete delle gole, e la meraviglia può cedere il passo ad una istintiva “paura” della verginità primordiale degli elementi, dove l’uomo non appare necessario o dove, se si riflette, si avverte il rischio dell’annullarsi: è l’impressione del sublime.

Il borgo del filosofo. Vatolla, una verde terrazza sull’infinito, piccolo borgo medievale di poco più di trecento anime, ebbe in passato la fortuna di ospitare l’allora giovane Giambattista Vico, il nostro più grande pensatore, che qui pose le basi della sua futura filosofia. Vatolla entrò nella vita del giovane Vico per caso. La sua famiglia abitava in via S. Biagio dei Librai e in quel periodo (siamo nel 1686) quel luogo era frequentato da monsignor Geronimo Rocca, che aveva affidato alla tipografia Paci la stampa di una delle sue opere. Il giovanissimo Giambattista preferiva la compagnia degli uomini maturi, specie se colti, a quella dei suoi coetanei. Fu così che tra il giovane Vico e don Geronimo nacquero cordiale simpatia e reciproca stima. È probabile che il prelato si sia reso conto ben presto della triste realtà del giovane: malandato in salute, predisposto al “mal sottile” in quell’ambiente piuttosto malsano, con pochissime possibilità di una sana alimentazione che potesse proteggerlo dalla minaccia del male, visto che la sua famiglia viveva in ristrettezze economiche. Don Geronimo provò per il giovane un’infinita pietà; ma poi quando lo sentiva parlare quel sentimento pietoso svaniva per cedere il passo ad una sincera ammirazione. Quel giovane era dotato di una intelligenza e cultura non comuni.
 

Il trasferimento a Vatolla. E intanto, col passare dei giorni, un pensiero si delineava nella mente di don Geronimo. E un giorno, mentre conversavano di diritto, il prelato chiese al giovane quale fosse, secondo lui, la maniera migliore di insegnare la giurisprudenza. Giambattista, che conosceva bene la materia grazie ai suoi studi, espose con tanta calorosa efficacia la sua opinione che il prelato ne fu enormemente colpito. E fu così che, all’improvviso, il Rocca gli fece la proposta di trasferirsi in casa di suo fratello, il marchese Domenico, per insegnare con il suo metodo quella disciplina ai suoi figli. Il marchese, raccontava don Geronimo, era rimasto vedovo da qualche anno e i suoi quattro figli avevano bisogno di un buon precettore che si occupasse della loro educazione. E il giovane Vico era sicuramente la persona più adatta. Inoltre, il marchese possedeva a Vatolla, solitario borgo del Cilento, un suo feudo dove trascorreva gran parte dell’anno: lì l’aria era molto salubre e sicuramente avrebbe giovato al suo gracile fisico. Lì avrebbe potuto anche dedicarsi ai suoi studi prediletti, al riparo di ogni preoccupazione. E poi, particolare non trascurabile, anche il marchese amava la poesia: sarebbe sicuramente nata una intesa perfetta. Insomma, lì, a Vatolla, avrebbe trovato una nuova famiglia. Il giovane Vico ci pensa su, anche se ha già deciso. Senza dubbio la proposta è allettante; potrà guadagnare uno stipendio, potrà perfezionare i suoi studi grazie alla biblioteca del marchese e non peserà più sul magro bilancio familiare. Certo, dovrà lasciare i suoi cari, la sua città, ma solo relativamente perché il marchese ogni anno è solito trascorrere qualche mese tra Napoli e Portici dove possiede una fastosa dimora. I genitori accolgono con gioia mista a tristezza il proposito del giovane: accetti pure, la sua salute sicuramente ne gioverà, lontano dal traffico e dall’aria malsana di san Biagio dei Librai.

Il viaggio nel Cilento. Vatolla dista da Napoli un centinaio di chilometri. Un lungo viaggio che durerà tre giorni. Il giovane Vico conosce così la parte inferiore della regione, quel Cilento impervio, così chiamato dal fiume Alento che vi scorre. Alla sua vista si offre uno spettacolo non uniforme, animato da contrasti: il paesaggio si presenta diverso e uguale, severo e mite, rigido e flessuoso, opaco e limpido, selvaggio e ridente, oppresso da gole di monti aridi e aperto a colorati declivi verso il mare. Il giovane Vico rimane senza parole alla vista del “castello” dei Rocca, con le sue due torri, l’arco d’ingresso in stile barocco, il cortile con un pozzo centrale. Un senso di timore reverenziale lo investe quando entra nell’ampia sala d’ingresso con i grandi quadri alle pareti: ritratti di guerrieri, prelati, nobiluomini. La camera a lui destinata è in effetti uno studio-alcova; ma quello che più lo colpisce è un ampio tavolo ovale dove potrà comodamente studiare e disporre, per consultarli con facilità, tutti i libri che vuole.

La nuova vita al castello. Giambattista si abitua ben presto alla sua nuova vita. Di buon mattino, dopo qualche ora di lettura, inizia le sue lezioni ai giovani Rocca: non solo nozioni di diritto, ma anche letture dei classici latini e greci. Dopo le ore di lezione, i giovani Rocca invitano Giambattista a conoscere il paese. Ma a Vico preme soprattutto visitare il Convento dei frati minori(oggi purtroppo ridotto in uno stato di miserevole abbandono), perché gli è stato detto che è provvisto di una buona biblioteca. Giambattista viene accolto cordialmente dai frati che gli mostrano subito la loro biblioteca, circa 400 volumi. Nasce ben presto amicizia tra il giovane e i frati: la biblioteca è a sua disposizione, scelga pure i libri che desidera. Ed è qui che Giambattista si infiamma allo studio approfondito dei poeti latini e di Cicerone. Ma non sono solo letterari i suoi studi vatollesi. L’insegnamento del diritto ai giovani Rocca lo spinge ad approfondire lo studio delle opere e del carattere morale in esse contenuto di Botero, di Bodin e di Deschamps. E a Vatolla nascerà anche l’adesione del giovane Vico alla filosofia di Platone, che contribuirà in maniera determinante alla sua formazione filosofica. Giambattista Vico soggiornerà a Vatolla, (“bellissimo sito di perfettissima aria”, così lo definisce nella sua Autobiografia) tra il 1686 e il 1695, nove anni che gli consentiranno di guarire e di portare avanti i suoi studi e il suo pensiero. La sua “Scienza Nuova”(studiata nelle maggiori Università del mondo) ha ancora uno straordinario rilievo: per la prima volta, in essa, le vicende degli uomini sono guardate dal punto di vista della loro storicità. Vico è convinto che gli itinerari della memoria siano le sole vie per l’avvenire e che il “tempo nuovo” non possa essere altro che un futuro del passato. Traccia per la prima volta una storia dell’umanità e inaugura la filosofia della Storia. È solo con Vico che la Storia assume lo statuto di vera scienza.

Vatolla, il presente e la Fondazione. Oggi Vatolla, borgo mite e di una dolcezza idilliaca, con i suoi odori di selva, le sue luci insieme tenere ed evanescenti, vive nel ricordo di Giambattista Vico. Palazzo Vargas, l’antica dimora dei marchesi Rocca, dopo un accurato e sapiente lavoro di restauro, è oggi una struttura elegante nella sua semplicità. Vi ha sede la Fondazione Giambattista Vico, Istituzione di Alta Cultura che si propone, con iniziative di interesse internazionale, di mantenere viva la figura e l’opera del nostro più grande filosofo. “Custode” e guida (volontaria) della Fondazione è Fiorello, gentile e vulcanico signore di scintillanti arguzie cilentane, cui va la nostra gratitudine. Dai paesi sparsamente divisi e coperti dalle valli, si spande nel meriggio l’eco delle campane, e si ripete e si raccoglie, come a restituirci il senso della vita che pareva smarrito. Lasciamo questo luogo con la sensazione che ci sia sfuggito qualcosa, un segreto, un invito nascosto, come un sorriso misterioso che brilla per un attimo, si allontana e poi svanisce.