IL LIBRO

Venturiello e quella sartoria in terra africana

Sarà presentato a Salerno il romanzo scritto dall’attore e doppiatore

SALERNO - Massimo Venturiello, celebre e apprezzato attore di cinema, teatro e televisione nonché eminente doppiatore, superati i sessant’anni, si racconta in un volume dal titolo “La sartoria di Addis Abeba” (Ensemble) che sarà presentato alle ore 18 presso la Libreria Imagine’s book a Salerno. A discutere con l’autore il giornalista Mariano Ragusa. Letture di passi scelti a cura di Alessandro Musto.

Massimo Venturiello, parlare di sè attraverso la scrittura è sempre impresa ardua...
Non ho seguito alcun metodo ma semplicemente l’istinto di raccontare ciò che sentivo dentro di me e tramutarlo in scrittura. Nel corso della mia vita ho sempre concepito la vita come arte e questa esperienza di tramutare i miei pensieri in forma scritta è stata una prova interessante e catartica di sperimentazione di un’altra forma d’arte.

Nel romanzo prevale il racconto e l’uomo...
Non avevo minimamente intenzione di scrivere un racconto autoreferenziale. Quello che mi interessava e sentivo dentro di me era far prendere forma a una narrazione che partiva da lontano, dalle mie origini, da quella sartoria in terra africana in cui mio padre sperava di costruire il porto sicuro dove far approdare quella ragazza (mia madre) che lo attendeva a Roccadaspide.

Si racconta anche del ragazzo che si vede passare avanti i grandi eventi della storia...
Appartengo alla generazione chiamata dei “baby boomers”, quelli nati il decennio successivo alla fine del secondo conflitto mondiale. E come dimenticare, tra i tanti episodi, quando assistetti con mio padre, a 8 anni, al concerto dei Beatles a Roma al Cinema Adriano. Passati gli anni, rivivi quei momenti con una consapevolezza diversa.

E il teatro è vita?
È vita, è passione, è carnalità. Il teatro non ammette tradimenti. E non esiste teatro senza palcoscenico, senza pubblico, senza sudore. La tragedia del Covid ce lo ha dimostrato.

A proposito di Covid nel libro c’è una parte molto nutrita in cui lei formula diverse osservazioni e riflessioni sulla pandemia...
Abbiamo vissuto e continuiamo a vivere un periodo orrendo, luttuoso, che ci ha mutati e scossi profondamente. Senza dubbio in questi quasi due anni di pandemia abbiamo assistito a tantissimi meravigliosi gesti di solidarietà ma anche a tante azioni vili di gente che si è arricchita approfittando della situazione. Ora che ci stiamo, gradualmente, riaffacciando alla normalità e ora che anche la vita culturale sta ricominciando ad abbracciare le nostre vite, noto un nutrito e costante desiderio di cultura. Ma c’è qualcosa di più profondo: si è automaticamente portati a compiere una sorta di scelta, tra ciò che ci soddisfa, ci incanta e ci delizia e ciò che ci annoia o che ci lascia indifferente.

Stefano Pignataro