Una storia dell’acqua a Salerno

Dagli Etruschi ai giorni nostri: così è cambiata la gestione dei flussi idrici

di ENZA SAMBROIA

Nei giorni scorsi i titoli dei giornali riportavano la notizia di “misteriosi allagamenti nel centro storico” e dell'apertura di un “tavolo tecnico presso il Palazzo Comunale” per scoprirne le cause. Credo che una lettura storica del territorio, senza troppo scalpore, può aiutare a risolvere il caso.

La presenza di sorgenti d'acqua nel territorio di Salerno, sin dall'antichità, ha reso il sito appetibile all’insediamento umano. Pur senza andare troppo indietro nella storia ma solo per citare alcuni dati caratteristici, ricordiamo che la presenza di sorgenti di acqua sulfurea a Salerno nell’area delle scomparse Terme Campione, erano note fin dai tempi degli Etruschi, e sono citate dal geografo Strabone (64 a.C. circa - 19 d.C. ). Pure è noto come per il castrum Salerni i torrenti Rafastia e Fusandola fossero una difesa naturale, e che acque sorgive erano presenti alle pendici del monte Bonadies e solcavano il terreno dell’attuale centro storico cagionando spesso alluvioni. Lo dimostrano due eventi storici documentati: nel 240 circa Giordano III, dopo una disastrosa alluvione che aveva causato ingenti danni e aveva dissestato la strada che collegava Salerno con Nocera (attuale via Tasso), ne ordina lavori di ripristino.

L’acquedotto in via Canali

Nel 400 circa Arrio Mecio Gracco, governatore di Salerno fece costruire un acquedotto nella via che poi fu denominata dei Canali per riparare i danni causati alla città da un’alluvione. Si comprende chiaramente come i romani abili ingegneri idraulici avessero imparato a sfruttare le riserve d’acqua del territorio e avessero ancor più imparato a gestire le falde d’acqua presenti nelle zone alte del centro storico. Dello sfruttamento dell’acqua come risorsa ludica resta una evidente testimonianza negli scavi delle terme romane - invero assai estese per essere terme di un piccolo centro! - alimentate da sorgenti poste poco più in alto della già citata via dei Canali.

Ritengo che durante il periodo bizantino, anche a causa delle guerre greco gotiche ci fosse stato uno scarso interesse nella manutenzione urbana, e si fosse investito più nella costruzione di presidi militari fortificati (il Castello) e in luoghi rappresentativi del potere (la basilica romana divenne sede del pretorio bizantino) e del culto (trasformazione del Tempio Capitolino nella Santa Sofia). La mancata pulizia dei canali e la carente gestione delle opere idrauliche esistenti, dovettero essere la causa principale delle alluvioni che si attestano numerose portando un innalzamento consistente del piano di campagna come è possibile valutare nei siti archeologici delle antiche Terme romane, e del palazzo Fruscione.

Con la conquista longobarda e il trasferimento di Arechi II in città, la gestione delle acque sorgive presenti nel centro storico migliorò (su detriti alluvionali stabilizzati fu elevata proprio nel sito delle terme la reggia di Arechi e la cappella palatina di san Pietro), e anche dopo la sua compianta morte, che aprì non p. ochi problemi politici fra intrighi e uccisioni, Salerno si espanse con la nascita di nuovi rioni, quello del Plaium Montis (806-853), il quartiere delle Fornelle dove vengono sistemati gli Amalfitani dopo che Siconolfo conquista Amalfi nel 838 circa; nel 911 si attesta (grazie ad una relazione del Rabbino Beniamino da Tudela) la presenza del quartiere della Giudecca, con un consistente numero di ebrei collocati fra Santa Lucia e la moderna via Velia fino alla Porta Elina, sul limite esterno delle mura urbane. Contribuirono sicuramente ad una migliore tenuta del territorio anche i complessi monastici: i monaci di San Benedetto e di San Michele avevano sin dal VII secolo regimentato le acque dei torrenti Rafastia e Sant'Eremita che utilizzavano per la coltivazione dei vasti fondi prospicienti l'area urbana (Orto Magno). In età svevo-normanna nelle zone alte, proprio per la presenza di sorgenti, alle pendici del monte Bonadies, erano andati localizzandosi altri complessi conventuali (San Lorenzo, San Nicola alla Palma, Santa Maria delle Grazie, San Massimo e San Francesco, Santa Maria della Consolazione, Montevergine, San Domenico e Santa Maria della Mercede). Come è noto i monaci usavano le acque non solo per la coltivazione ma per diverse attività, le approvvigionavano per poi riutilizzarle nei lavori artigianali; facevano anche semplici opere di regimentazione idrica, incanalavano o addirittura deviando il corso dei torrenti al fine di evitare ristagni e smottamenti di terreno. In alcuni conventi quelli prospicienti le acque cosiddette di San Leo veniva praticata la concia delle pelli che richiedeva consistenti risorse idriche. Altre sorgenti erano presenti sui colli alle spalle dell'area di Sant’Eremita, una documentazione relativa alla cessione dei suoli in epoca moderna attesterebbe la presenza di pozzi e l’utilizzazione dell'acqua da parte dei confratelli del convento fondato da Guglielmo da Vercelli di ritorno dalla crociata, del quale resta esigua testimonianza sotto la villa Conforti (poi Tisi) sulla cima del colle.

Importanti regimentazioni idriche furono realizzate in Età Scientifica al Fusandola, una parte del torrente alimentava i giardini a terrazzamento della Minerva per la coltivazione delle piante officinali a sud di quella che dai più viene considerata la sede della scuola Medica Salernitana, un’altra parte del corso del torrente era stata deviata verso il largo del Campo e riforniva fontanili pubblici nei quali si lavava il grano.

Lo sviluppo delle botteghe

La stabilità delle terre a valle portò un consistente incremento edilizio e vengono ad aggregarsi al preesistente edificato nuovi rioni ad oriente del centro storico che attestano il buon rapporto che la città aveva con le sue acque nel basso medioevo e tale situazione si conserverà in età moderna. Nel corso del cinquecento nelle botteghe lungo le vie dei Mercanti l’acqua costituiva una risorsa primaria per il lavoro; la presenza d'acqua dei fontanili pubblici (san Petrillo) e all’interno delle case anche le più povere era garantita da un sistema di pozzi che attingendo alle falde sotterranee definiva un sistema di vasi comunicanti che garantiva la naturale risalita dell’acqua. Le tristi vicende delle epidemie di peste propagatesi nel corso del secolo (1527, 1566, 1585) sono da ricondursi proprio all'inquinamento delle acque di falda e ritengo anche alla cattiva collocazione dei siti cimiteriali soprattutto quelli dei conventi e delle congreghe la cui popolazione era in continua crescita. Nei palazzi nobiliari (Palazzo Copeta, Palazzo Ruggi, ecc.) e nei cortili dei monasteri, soprattutto femminili (ave Gratia Plena) per tutto il corso del seicento e nella prima metà del settecento la presenza dell'acqua che scorre dalle fontane monumentali conferisce valore scenografico all'ambiente costruito.

Il rapporto del territorio con l’acqua cambia nella seconda metà del Settecento allorché l'incremento demografico e la costruzione di nuovi caseggiati sul limite murario a sud intasano gli spazi ancora liberi del centro storico. Nel corso del primo ottocento si comincia a costruire addirittura sull'arenile addossandosi al muro meridionale verso il mare e viene aperta la via Marina sottraendo ancora spazio al litorale. Il problema diventano le mareggiate che rovinavano i fronti urbani e la stessa strada litoranea così si pensò di realizzare antimurali e si pose mano a piani del litorale che ebbero il vantaggio di pensare sia ad oriente che ad occidente al deflusso delle acque del territorio con appositi scoli.

Il nuovo piano del litorale

Mentre le acque del Fusandola che attraversavano i giardini della Minerva alimentavano lo stabilimento idroterapico dei Toledo e nuovi stabilimenti venivano realizzati nella zona orientale sfruttando le benefiche cure delle acque solforose e ferrose nei siti delle terme dei Caruso e dei Campione, le mareggiate continuarono a flagellare la costa e la strada spesso si allagava; così nel 1914 si provvide alla stesura di un nuovo piano del litorale (Progetto di sistemazione della spiaggia urbana e degli altri suoli verso ponente tutti prospicienti sul golfo e destinati all’edificazione) sotto la direzione dell’Ing. Comunale Franklin Colamonico, con la creazione di una nuova colmata, ottenuta ancora una volta sottraendo spazio al mare. I suoli furono lottizzati e venduti ai privati e i villini, che vi dovevano essere realizzati, furono trasformati ben presto in palazzi di considerevole proporzione planimetrica ed altimetrica, venne anche creato un nuovo lungomare e con esso una nuova barriera per le acque che solcavano i sottosuoli del centro storico. La costruzione dei fabbricati come noto non fu affatto facile, e richiese grande impegno da parte dei costruttori; in alcune zone (quelle di scolo delle principali linee d'acqua torrentizia) come palazzo Società Edilizia e lo stesso Palazzo Santoro i proprietari originari dei suoli dopo aver tentato invano soluzioni per realizzare le fondazioni cedettero le aree a chi aveva maggiori risorse e più evolute conoscenze per la loro realizzazione, per Chiancone la vendita alla società di bonifica napoletana (Società Edilizia) e l’ing. Zeno Tancredi fu la risoluzione di un problema che a Salerno non aveva trovato svolta; sulle abilità strutturali poi degli ingg. Antonio Santoro e Michele Siniscalchi e dell'arch. Matteo d’Agostino non credo vi siano dubbi. Se l'acqua non si poteva eliminare bastava fare come avevano già sperimentato Donzelli e Toma per l'ospedale Riuniti alla via Vernieri di Salerno, costruita nell'alveo del torrente Cernicchiara. Bastava lasciare che le acque defluissero al di sotto del fabbricato sotto ampie arcate a ponte.

Se il problema delle mareggiate appariva risolto, all'interno del centro storico l'umidità risaliva dalle mura perimetrali e qualche volta allagava i bassi, per questo durante il ventennio fascista furono necessari nuovi provvedimenti e si pensò a rendere normativamente inabitabili i cosiddetti "bassi" insalubri e umidi e a varare un nuovo piano casa.

Durante la seconda guerra mondiale la città subì ingenti danni a causa dei bombardamenti e quando la guerra finì nel 1944 ci fu l'ultima eruzione del Vesuvio che coprì con antiche ceneri i cumuli di macerie degli edifici bombardati. Eliminare i detriti dalle strade comportava un problema di non facile soluzione, e per di più senza alcuna risorsa economica.

Il lungomare di Menna

L’idea geniale questa volta venne all'allora segretario generale Alfonso Menna che ben pensò di utilizzarli per realizzare a mare i giardini pubblici, sfruttando una cifra di 20 milioni posti a bilancio per opere inerenti il porto. Ma, sebbene i giardini del lungomare al pari della palazzata costituiscono oggi la passeggiata più bella della nostra città, non si può negare che la nuova colmata a mare definiva altra chiusura per lo scolo dell'acqua del sottosuolo Salernitano.

L’alluvione del 1954

Il 25 ottobre del 1954 come tristemente noto a Salerno ci fu l'alluvione che fu sì causata da eventi calamitosi - una pioggia torrenziale e duratura - ma nei luoghi ove cagionò morte (il palazzo prospiciente la chiesa dell'Annunziata e il quartiere delle Fornelle) e i disastri furono enormi (Vie Fieravecchia e Velia) è altrettanto vero che le cause furono dolose poiché anche in occasioni di pioggia ordinaria, le strade si allagavano e l'acqua vi ristagnava per giorni. Nuove sistemazioni idrauliche negli anni seguenti la sciagura scongiurarono altri eventi catastrofici anche se i limiti di guardia rimasero alti.

Oggi la relazione fra dissesto idrogeologico ed edificazione non è più un mistero e forse non lo sono neanche gli allagamenti nel centro storico! Bisogna essere consapevoli che se si modifica il territorio bisogna fare i conti con l'assetto idrogeologico e la storia dei luoghi.

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