Un documentario targato Salerno sui riti del tarantismo

Il gruppo ha raccolto le testimonianze a Galatina in Puglia Il corto sulla storia del fenomeno sarà pubblicato in rete

«La terra del rimorso, è in senso stretto, la Puglia in quanto area elettiva del tarantismo, cioè di un fenomeno storico-religioso nato nel Medioevo e protrattosi sino al ’700, sino agli attuali relitti ancora utilmente osservabili nella Penisola Salentina». Questa l’introduzione che l’etno-antropologo napoletano Ernesto De Martino scriveva nel suo saggio capolavoro “La terra del rimorso”, dedicato allo studio del tarantismo. De Martino studiò i punti chiave del simbolismo della “tarantola” – il ragno velenoso che morde – , in un più ampio progetto di analisi delle società contadine del Meridione. Nel giugno del 1959, lo studioso guidò una equipe formata dallo psichiatra Giovanni Jervis, dalla psicologa Letizia Jervis-Comba, l’antropologa culturale Amalia Signorelli, l’etnomusicologo Diego Carpitella, il fotografo Franco Pinna e dal medico parassitologo Sergio Bettini. Loro obiettivo era quello di studiare il tarantismo, verificando se fosse una patologia medica o la manifestazione di un rito di passaggio. Le credenze popolari parlavano di un mitico ragno, la taranta, che nei mesi estivi mordeva-pizzicava le sue vittime (per lo più donne) nei campi di grano, provocandone uno stato di malessere generale. La sola terapia di guarigione – una sorte di esorcismo – era il ballo della taranta, la pizzica tarantata, un rituale diffuso soprattutto nel Salento, per cui il tarantato sotto l'effetto della musica dava inizio ad una danza isterica, accompagnata poi dalla terapia “cromatica” e coreutica. Il culmine coincideva con il 29 giugno, nella chiesa di San Paolo a Galatina. Il tarantismo caratterizzò una parte d’Italia (Lecce, Taranto, parte della Basilicata) fin dal Medioevo, per poi iniziare il suo declino. Nel loro studio, De Martino e colleghi individuarono nel morso, nel veleno, nell’insetto un insieme di orizzonti simbolici, valvole di sfogo per il deflusso e la risoluzione di fratture psichiche personali dovute a frustrazioni sociali, economiche, sessuali, criticità interiori che appunto “rimordono” nell’animo. È su questo filone di studio meridionale, che il gruppo salernitano di video-narrazione, composto da Alfonso Maria Salsano, Davide Speranza e Giuseppe Volpicelli – attivo nel campo dell’audiovisivo e dello storytelling – ha inteso documentare cosa sono oggi il tarantismo e la taranta. Frequentanti il corso di laurea in Davimus all’Università di Salerno, impegnati nei campi del cinema, giornalismo, fotografia, narrativa, i tre si sono recati a Galatina, in Puglia, proprio durante la festa di San Pietro e Paolo. Sono rimasti tre giorni, nella città salentina, a contatto con gli abitanti del posto, operatori culturali, attori, musicisti. Utilizzando telecamere, strumenti fotografici, registratori e immergendosi nel vorticoso quotidiano dei galatinesi, hanno ripercorso la storia della “taranta” e delle “tarantate”. «Ciò che realizzeremo con il materiale che abbiamo raccolto – dicono i tre – sarà un piccolo cortometraggio. Stiamo valutando le immagini e il lavoro prodotto. Questo è solo un primo step che speriamo possa essere parte di un progetto più lungo». Il corto verrà pubblicato in rete, mostrando come le rappresentazioni teatrali di Galatina siano uno degli ultimi legami con il ricordo di quel dolore sociale delle popolazioni meridionali. (re. cul.)

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