Trione, i conti aperti con la città

Il filosofo: è una realtà nazionale, ma ora si intravedono le nebbie del provincialismo

di UGO PISCOPO

Carissimo Aldo Trione, le radici tue e della tua famiglia sono nel Salernitano. Qui sei cresciuto, sei andato a scuola, hai insegnato all’Università, dove hai svolto ruoli importanti, poi sei venuto a Napoli alla “Federico II”, ora sei professore emerito di Estetica. Ma questa carriera, soprattutto agli inizi, è costata lacrime e sangue: perdesti tuo padre quando eri ancora studente e dovesti dare una mano a casa per fratelli e sorelle più piccoli. Una tale vicenda è iscrivibile nella costellazione della meridionalità? Nella tua formazione devi qualcosa al Sud?

. Anche se, per molti versi, dolorosi ed amari, gli anni della mia adolescenza sono stati ricchi di produttività intellettuale, di progetti, di sogni, di speranze. La morte di mio padre è stata per me e per la mia famiglia, in primo luogo mia madre, una ferita che non si rimarginò in tempi brevi. Quella morte, tuttavia, mi dette forza e molto coraggio. Tra difficoltà economiche, con l’aiuto generoso di uno zio materno, cominciai una avventura umana, antropologica, ideale cui, sono rimasto sempre fedele. I miei anni giovanili sono stati segnati dallo studio matto e disperato , al tempo stesso da una intensa frequentazione di circoli culturali democratici e progressisti. I miei studi di allora hanno un duplice registro : quello etico e politico (Gramsci, Giustino Fortunato, Salvemini, Guido Dorso) e quello filosofico-letterario (Aristotele, Platone, Leibniz, Spinoza, Kant , Hegel). Muovendo da questi studi, poi, ho intrapreso una lunga ricognizione della civiltà intellettuale dell'Otto e Novecento. E, ancora: i grandi classici della letteratura italiana ed europea, fino ai contemporanei , fino ai “nuovissimi”. Ho intrapreso, quindi, un percorso accademico che mi ha dato tanto, direi moltissimo : professore ordinario, preside di facoltà, oggi professore emerito.

In tale vicenda, è possibile anche vedere in controluce un rapporto ancora più stringente col Sud, nel senso che, come intellettuale, tu hai vissuto/vivi il Sud come soggetto, che non è affatto un prodotto dell’industria culturale moderna, ma si costruisce con le proprie mani, si perfeziona, si potenzia ogni giorno di più?

Rapporto con il Sud? Certo. Sono qui le mie radici, qui mi sono formato e ho condotto le mie prime battaglie politiche e culturali. Certo, molte cose sono cambiate; ma il Mezzogiorno per me non è solo un’area geografica, ma - me lo si consenta- un “momento della mia anima”. Anche la mia breve esperienza parlamentare va letta in questo orizzonte. Oggi molte cose sono cambiate, ma io penso sia ancora utile e necessario un progetto di alto profilo, il sogno di una cosa.

Trasferiamoci su più vaste latitudini. Come estetologo e filosofo, – mi permetti di accostare i due termini, in mezzo alle esaltazioni di oggi per le specializzazioni e i sottosistemi? – , hai solide griglie costruite nel dialogo col pensiero formalizzato in Occidente dall'antica Grecia a noi. Ho, però, l'impressione che tu abbia una particolare simpatia per i pensatori francesi contemporanei (Sartre, Merleau-Ponty, Caillois, Valéry, Bachelard e gli inquisitori delle strutture dell’immaginario, solo per fare alcuni nomi). Mi sbaglio?

Estetica e filosofia. Considero l’estetica un capitolo fondamentale e decisivo della filosofia. In questa linea vanno letti e studiati molti tra i maggiori protagonisti del pensiero contemporaneo – Sartre, Merleau-Ponty, Caillois e Bachelard, cui ho dedicato una delle prime monografie apparse in Italia, e soprattutto Valéry, che considero tra i filosofi – dico filosofi – maggiori degli ultimi cento anni.

Hai scritto tanto e stai continuando a scrivere. Tra i molti e intriganti libri pubblicati - qualcuno, l’ho recensito anch’io - qual è il libro o quali sono i libri a te più cari?

Il libro nel quale maggiormente mi ritrovo è “Estetica della mente”, ma mi piace aggiungere anche “Mistica impura” che segna, per me, l’inizio di una nuova avventura intellettuale.

“Mistica impura”, appunto. Qui l’autore è in ascolto di fondamentali indicazioni del pensiero illuministico, (ma per liberarlo delle maglie troppo strette fattegli indossare o per allargare gli spazi della riflessione su terreni più articolati)?

“Mistica impura” non è una ricerca storiografica rivolta a indagare momenti della sterminata regione del pensiero metafisico. È un attraversamento del rapporto Essere-nulla, nell'orizzonte dell'opera di autori che hanno esercitato una fondamentale presenza nella cultura dell'occidente. Questi autori - Eckhart, Giovanni della Croce, Teresa d'Avila - hanno tracciato le linee di una autentica poetica delle cose e hanno disegnato una profonda esperienza esistenziale del sacro. Non un sacro velato di una trascendenza irrelata, ma una “tensione” umana, troppo umana.

Oggi a Salerno città e nel Salernitano ci sono una diffusa sensibilità e una forte aspettativa di slancio in avanti della realtà complessiva. A quelli più impegnati a promuovere un tale processo, vorresti dare qualche suggerimento?

A Salerno ho lavorato per molti anni. Soprattutto in quella Università, alla cui costruzione e “nuova stagione” ho, in minima parte contribuito. Ho dedicato molte mie energie e tanta passione a disegnare un volto moderno ed europeo di quell’Ateneo. Ho conosciuto e frequentato tanti amici, colleghi e compagni di strada. Ho avviato iniziative, convegni, seminari che hanno riscosso interesse nella comunità scientifica nazionale e non solo. Ma vorrei ricordare che il mio impegno a Salerno ha avuto anche momenti sociali e politici. Oggi? La città è diventata - al di là di certe forzature polemiche giornalistiche - una realtà “nazionale” cui guardano con interesse molti osservatori. Ma, da qualche tempo, si intravedono le nebbie di un mediocre provincialismo, sovente sorretto da cattivo gusto.

©RIPRODUZIONE RISERVATA