Totò e il quadro del sosia storia di un acquisto mancato

L’attore fu colpito dalla somiglianza col ritratto del patrizio Camillo De Curtis Ma Abbro si oppose alla cessione del dipinto esposto al Comune di Cava

di Alfonsina Catupano

CAVA DE’ TIRRENI

An. tonio Griffo Focas Flavio Dicas Commeno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli… Sette nomi, un cognome ed una sfilza interminabile di titoli altisonanti per un artista che da tutti è conosciuto con un nomignolo racchiuso in sole quattro lettere, a cui si accompagna una speciale onorificenza: Totò, il principe della risata.

L’attore napoletano, nella strenua ricerca di “natali illustri, nobilissimi e perfetti, da fare invidia a Principi Reali” - come lui stesso scrive nella poesia “‘A Livella”, riferendosi al defunto marchese - commissionò una serie di ricerche genealogiche che lo portarono sulle tracce della nobile famiglia De Curtis di Cava de’ Tirreni, da cui deriva il nome della frazione Licurti. La sua attenzione si soffermò sulla figura del nobile cavese Giovan Camillo De Curtis, immortalato nel 1585 in un ritratto conservato nell’aula consiliare del Comune di Cava.

Mascella volitiva, naso dritto e sguardo penetrante, sormontato da una fronte resa più spaziosa dall’incipiente calvizie. La somiglianza del patrizio cavese con Totò è effettivamente impressionante. Si comprende, dunque, il desiderio dell’attore napoletano di avere quel quadro. I tratti somatici dell’uomo maturo in abiti severi, che una piccola targa di ottone qualifica come il consigliere del regio consiglio collaterale e preside del Sacro regio consiglio, avrebbero potuto dimostrare che Camillo De Curtis era un antenato di Totò e, di rimbalzo, la discendenza del comico dai marchesi De Curtis di Somma vesuviana a cui era imparentato l’omonimo ramo nobiliare di Cava.

Anche se la somiglianza non era probante, l’attore fece di tutto per entrare in possesso del quadro. Agli inizi degli anni Sessanta l’artista venne, infatti, a Cava per chiedere ad Eugenio Abbro, il sindaco di allora, di vendergli il ritratto. Alcuni dipendenti comunali, adesso in pensione, raccontano che Totò disse di essere disposto a pagare qualunque cifra pur di entrare in possesso dell’opera. Fu, quindi, indispettito dal rifiuto senza appello del sindaco, il quale rispose che l’opera era patrimonio inalienabile della città. E c’è chi è disposto a scommettere che quell’episodio colpì talmente Totò da indurlo ad inserire, in alcuni film successivi, scene in cui il protagonista passeggia nella galleria dei quadri degli antenati, ravvisando in tutti una somiglianza innegabile con lui.

Peraltro, come racconta l’attuale sindaco di Cava Marco Galdi, dell’avvenuto incontro ci sono delle testimonianze nell’archivio comunale, dove è custodito un documento in cui si descrive, nei dettagli, il colloquio tra Abbro e Totò. Anche in ricordo di questo curioso episodio il sindaco di Cava chiese all’attrice metelliana Geltrude Barba, che nel 2011 stava ideando un festival teatrale, di chiamarlo “Premio Licurti”.

Ma qual è stato il percorso che ha condotto Totò a Cava? La storia inizia a Napoli negli ultimi anni dell’Ottocento. Il comico napoletano è nato al numero civico 107 in via Santa Maria Antesaecula, nel rione Sanità,il 15 febbraio 1898. La scorsa domenica, dunque, è ricorso il 117esimo anniversario dalla nascita. Sua madre, Anna Clemente, lo registra all'anagrafe come Antonio Clemente. E solo più tardi, nel 1921, sposerà il marchese Giuseppe De Curtis, che successivamente riconosce Antonio come suo figlio naturale. La spasmodica ricerca delle sue origini accompagnerà Totò per tutta la vita. Nel 1933 Antonio de Curtis viene adottato dal marchese Francesco Gagliardi Foccas in cambio di un vitalizio e nel 1945 il tribunale di Napoli gli riconosce il diritto a fregiarsi dei nomi e dei titoli. Questo, però, ancora non gli basta. L’attore continua a commissionare ricerche araldiche e genealogiche, che lo conducono ai De Curtis di Somma vesuviana, imparentati con quelli di Cava. Gli stemmi delle due casate, infatti, risultano lievemente diversi solo nei colori. Come sostenuto da diversi storici, i De Curtis di Cava (o anche Della Corte) erano un’antichissima famiglia longobarda (X – XI secolo), originaria della zona fra Salerno e Cava, I De Curtis di Cava, in effetti, si radicarono nel casale che da loro fu detto De Curti, col tempo trasformatosi nel toponimo Licurti. Totò era convinto che, in qualche modo, la famiglia entrasse a pieno titolo nel suo albero genealogico, dimostrando che i suoi antenati erano nobili. Una convinzione, questa, che lo accompagnò fino alla fine dei suoi giorni e che l’attore cristallizzò in una delle sue battute più celebri pronunciata, tra il serio ed il faceto, in un film del 1960: “Signori si nasce ed io, modestamente, lo nacqui”.