Tappa a Salerno del poetry slam

Burbank: «Vi racconto la vita quotidiana»

“Sono un poeta o faccio il poeta, non lo so”. Questo il dilemma con il quale Alessandro Burbank, classe 1988, veneziano di nascita e “divulgatore di poesia” per missione, così come egli stesso ama definirsi, aprirà la sua performance in programma al Museo archeologico provinciale di Salerno, dove domani si fermerà il suo “Finchè non trovo un lavoro tour”,partito lo scorso gennaio da Trento.

A metà strada tra viaggio poetico e racconto goliardico, entrambi affrontati con una leggerezza che richiama quella raccomandata dal Calvino delle “Lezioni americane”, il monologo di Burbank si annuncia come uno spettacolo al contempo classico e demenziale, dissacrante ma pieno di compassione. Che sta raggiungendo le città d’Italia grazie a una singolare sponsorizzazione, quella di Flixbus – «Ho scritto a FlixBus per vedere cosa poteva propormi dato che per risparmiare avrei usato i loro mezzi. Mi hanno dato 1000 buoni da 5 euro l’uno», racconta - servizio privato ultimamente messo a repentaglio dal decreto Milleproroghe ma per fortuna sopravvissuto.

In cosa consiste la sua performance?

Leggerò i miei scritti dopo una presentazione, in modo che il pubblico partecipi e sia trasportato all’interno dei contenuti dei testi. Parlerò di precariato, di artisti, di poesia, di vita quotidiana. Senza nascondere la ricerca formale, senza abbandonare il passato.

Il pubblico, nelle prime tappe del tour, come ha reagito a questi spettacoli che potremmo definire anacronistici rispetto ai tempi frenetici in cui viviamo? Per di più portati avanti da un ragazzo di nemmeno trent’anni...

Il pubblico rimane sorpreso ogni volta perché non sa cosa aspettarsi da una lettura di poesie quindi l’approccio è caratterizzato dalla curiosità. Il pubblico sarà veramente maturo quando tutta la scena poetica costruirà una sua scena. Per questo bisogna darci dentro. L’epoca in cui siamo, però, nasconde dei lati positivi. È molto più facile “leggersi” e tenersi in contatto. È molto più facile scoprirsi e collaborare, per via di Internet e dei social. Basterebbe però trovare una chiave divulgativa idonea. E questo può avvenire, a mio parere, solamente esponendosi. Anche coi rischi che può comportare. Questo è quello che cercano di fare i poetry slam.

Chi l’ha fatta appassionare alla poesia?

Giorgio Baffo è stato il primo poeta che abbia mai letto. Ora ho altri autori di riferimenti ma lui mi ha aperto un mondo, la sua è una poesia scherzosa ma di satira sociale, una poesia con dei messaggi, che incontra il pubblico.

Come attirarli i ventenni di ora verso qualcosa che non sia il tronista di turno propinato dalla tv? Come si fa, secondo lei, a far loro scoprire la poesia?

L’unico modo che abbiamo per fargliela conoscere è andarli a cercare i giovani, è l’entusiasmo che li attira, ne vengono contagiati. E per questo che punto alla divulgazione, l’unica arma per ottenere la comprensione del pubblico. Sono convinto che quella che sto conducendo sia un strada percorribile. Verso una cultura dell’ascolto. Molti giovani che avrebbero la vocazione per la scrittura in versi spesso ne sono spaventati. E spesso invece ricalcano i luoghi comuni. Non si leggono fra loro, non si ascoltano. E questo fatto non ha precedenti.

Da dove trae ispirazione per i suoi scritti?

Da quello che vedo per strada e il paradosso in generale, dalla distanza che le persone mettono tra le cose; solo per il fatto che sono a duemila chilometri di distanza non si interessano di alcuni avvenimenti, invece il poeta può aiutare le persone a immaginare, ad accorciare le distanze, a immedesimarsi.

Fiorella Loffredo

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