Sul palco di Scenari i segnali jazz di Nino Buonocore

PAGANI. Nel 1990 ha venduto 3 milioni di copie del singolo con cui è entrato, per mesi, nella top ten, “Scrivimi”. Da allora sono passati 25 anni in cui Nino Buonocore - che questa sera (ore 21) si...

PAGANI. Nel 1990 ha venduto 3 milioni di copie del singolo con cui è entrato, per mesi, nella top ten, “Scrivimi”. Da allora sono passati 25 anni in cui Nino Buonocore - che questa sera (ore 21) si esibirà in concerto sul palco del teatro del Centro sociale per “Scenari pagani”, la rassegna di Casa Babylon - non è rimasto ancorato ai fasti di quel successo; ha preferito piuttosto svincolarsi dalla dinamiche che regolano le classifiche per maturare un proprio stile a tratti vicino al jazz, come testimonia il suo ultimo album “Segnali di umana presenza”.

Un disco sopraggiunto dopo un silenzio discografico di nove anni. «Non mi sono mai posto problemi di uscite, mi sono affrancato dallo star system per essere libero di dire ciò che voglio quando voglio. Sono un privilegiato, grazie a qualche successo ho guadagnato la possibilità di auto-produrmi. E poi sono suscettibile di momenti flessibili, dipende dagli umori e da ciò che accade nel mondo che è fonte di ispirazione di tutto. Quest'ultimo è stato un ventennio povero di eventi, a parte il crollo delle Twin Tower. L'umanità si è spenta, è girata su se stessa per effetto del bombardamento mediatico che ci fa perdere consapevolezza di ciò che siamo. Questo invece per me è un periodo in cui srcivo molto, anche se poi pubblico poco, sono molto severo con me stesso, a tratti cattivo. Potrei già pubblicare un nuovo disco ma aspetterò di vagliare tutto meglio per rispetto nei confronti di chi mi segue».

Come si è avvicinato al jazz?

«Il tarlo del jazz è stato sempre presente in me, per ogni musicista il jazz rappresenta una tappa obbligata per approfondire una conoscenza più ampia della musica, una tessitura complessa. Tutto sommato è stato un passaggio naturale».

Come prendono forma i suoi brani?

«Nascono dal fatto di guardarsi intorno, sono molto polemico, vengo da una cultura studentesca in cui si occupavano le scuole per ragioni vere, si partecipava alla politica e a fatti che ci interessavano in prima persona. Tuttavia, un musicista non può limitarsi a descrivere quanto vede ma deve esprimere le proprie idee e riflessioni, essendo aperto ai suggerimenti. E la musica aiuta moltissimo, non cambierà certo il mondo ma si contribuisce a farlo».

Un brano a cui è particolarmente legato?

«Ce n'è uno per ogni capitolo della mia vita; in questo momento, ad esempio, potrei dire che “Il lessico del cuore” è una bandiera, un modo per esortare la gente a prendere coscienza della propria forza, come ha fatto Patti Smith nel rock».

All'inizio degli anni '90 è salito alla ribalta della scena musicale italiana mentre poi se n'è allontanato in buona parte, una scelta forzata o meditata?

«Nella vita bisogna cercare la propria dimensione sentendosi a proprio agio nei contesti che si vivono. La mia casa naturale è il teatro, non ho mai amato le folle oceaniche, mi basta sapere che c'è chi mi dà ascolto e amo sapere a chi appartengono quelle orecchie: è una sensazione gratificante».

Che rapporto ha con la sua città, Napoli, e con la cultura campana?

«Coltivo una passione per la mia terra in maniera riservata, senza sventolare vessilli, lontano da ostentazioni presuntuose; chi ha radici ben salde non ha bisogno di mandolini e “putipù”, il mio è un modo diverso di essere campano, più profondo».

Alessandra De Vita

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