PASSEGGIATE NELLA STORIA

Spartaco, il gladiatore ribelle morì nel Cilento

Secondo Plutarco nel 71 a. C. fu attirato in un’imboscata nelle gole di Tremonti da Marco Licinio Crasso e perse la vita

Oltre ad essere terra di bellezze naturali impareggiabili e meta turistica di rango, il Cilento vanta una storia antica e gloriosa per essere stato teatro, e spesso protagonista, di episodi e vicende di grande importanza e significato. Tra i personaggi che, con le loro imprese, hanno acceso la fantasia popolare e lasciato nel tempo l’orma del mito, è sicuramente Spartaco, il gladiatore ribelle che diede la vita, nel 71 a. C., nel tentativo purtroppo vano di dare la libertà agli oppressi. Molti avranno conosciuto la storia di questo personaggio grazie al cinema, soprattutto nel kolossal ”Spartacus”, film del 1960 - riproposto spesso dalle reti televisive nazionali - dove Kirk Douglas dava il volto e il fisico possente al protagonista, mentre il regista Stanley Kubrick ne proiettava la figura e la forza ideale nella leggenda. Pochi, però, sanno che l’ eroica vicenda di Spartaco si intreccia con il territorio e la storia del Cilento. Nel corso dei secoli le imprese del gladiatore ribelle sono state raccontate e romanzate innumerevoli volte ma le fonti storiche sono piuttosto avare di informazioni sulla sua vita e anche sulla sua morte. Siamo nel 72 a. C., in piena fase di decadenza della Repubblica romana che, dopo aver subito la dittatura di Silla, si apprestava a vivere lo scontro tra Cesare e Pompeo e il passaggio all’Impero.

La situazione politica era di grande instabilità e il Senato sempre più saldo nelle mani dell’aristocrazia. Una situazione di profondo malcontento che portò a sanguinose ribellioni, quale, appunto quella di Spartaco. Altri ci avevano provato prima di lui. Euno, di origine siriana, a capo di circa duecentomila schiavi dei latifondi di Sicilia, reclamò con forza e coraggio terre da dissodare e mettere a coltura ma fu sconfitto e pagò con la vita il generoso tentativo di riscatto sociale, mentre sul campo restarono, crocifissi, ventimila schiavi. Ci riprovarono i Gracchi, Tiberio e Caio contestando le angherie, le prepotenze e le prevaricazioni dell’aristocrazia che spadroneggiava in spregio dei diritti e della vita dei lavoratori; ma finirono uccisi. Era il 121 a. C. Spartaco ci riprovò cinquant’anni dopo. La rivolta scoppiò nella scuola di gladiatori di Capua, dove circa settanta ribelli, con a capo Spartaco, originario della Tracia e, in sott’ordine, i galli Crixo ed Enomao, sopraffatta la milizia cittadina, fuggirono dirigendosi verso Napoli per poi insediarsi alle falde del Vesuvio. Il gruppo di ribelli si ingrossò rapidamente fino ad arrivare ad oltre settantamila unità, con schiavi traci, galli e germanici. Spartaco, grazie al suo valore e alla sua grande capacità comunicativa, riuscì a capeggiare la più grande rivolta contro le ingiustizie sociali dell’antichità e a tenere in scacco la potenza di Roma, nonostante gli schiavi fossero male armati e disorganizzati.

Fino al 71 a. C. il suo genio militare e l’impeto rivoluzionario delle sue parole che promettevano la libertà, furono in grado di fronteggiare il potentissimo esercito romano. Il Senato di Roma sottovalutò la rivolta, anche perché aveva le sue migliori legioni impegnate in Spagna contro Sertorio e in Oriente contro Mitridate. Questo fatto permise a Spartaco e ai suoi di vincere alcune battaglie in cui trovarono la morte diverse migliaia di soldati romani. Nel 72 a. C. il Senato decise, allora, di passare al contrattacco affidando ai Consoli Lucio Gellio Publicola e Gneo Lentulo Clodiano l’incarico di intercettare le truppe ribelli con le loro legioni. Spartaco e Crixo, suo compagno d’avventura, decisero di dividersi. Crixo si diresse verso la Puglia e, nell’odierno Gargano, si scontrò con le truppe di Publicola subendo una completa disfatta e trovando la morte sul campo.

Spartaco, invece, che si era diretto verso Nord, si scontrò, separatamente, con le truppe dei due Consoli e, mostrando notevole capacità strategica, li sconfisse entrambi. Poi, anziché proseguire verso il Nord, decise di tornare in Campania, nel Cilento, dove, dopo alcuni scontri svoltisi tra le sorgenti del fiume Sele e il monte Calpazio nei pressi di Capaccio, attirato in un’imboscata nella gola del fiume Tremonti, tra Capaccio, Trentinara e Giungano - come attesta la fonte autorevole di Plutarco - fu sopraffatto dalle superiori forze delle legioni di Marco Licinio Crasso e pur battendosi come un guerriero con straordinario ardore, cadde da eroe. Era l’aprile del 71 a. C. Con la sua morte aveva fine la più grande e sanguinosa rivolta della storia di Roma. I cadaveri di seimila ribelli furono appesi ad altrettante croci piantate sulla via Appia, tra Capua e Roma. Il corpo di Spartaco sembra non sia mai stato identificato ma la memoria di questo gladiatore trace che, ribellandosi alla schiavitù, sfidò la storia, rimane viva nella mente e nel cuore di tutti gli uomini liberi.