FEDE MARIANA

Serao e il culto della Madonna

La scrittrice raccolse in un libro la tradizione popolare meridionale per la Vergine

di ALESSIO DE DOMINICIS

La storia della stampa quotidiana a Napoli, tra Ottocento e Novecento, è notoriamente collegata al nome di Matilde Serao (1856-1927) quale unica donna italiana a fondare un quotidiano, qualunque possa essere il giudizio critico sulla qualità dei suoi scritti, compresi i molti romanzi e novelle. Né della Serao giornalista né della scrittrice di novelle e romanzi ci occupiamo per “Carta Gialla”, essendo tanti i sunti e i saggi bio-bibliografici su quelle sue attività, tra Roma e Napoli, nell’Italia umbertina di Zanardelli e D’Annunzio. Tralasceremo pure di intrattenerci sui tanti “gossip” riguardanti la coppia Serao-Scarfoglio e la loro “movimentata” vita matrimoniale, ma tratteremo, bensì, di un lavoro afferente agli anni della maturità e ai nuovi interessi della Serao, sullo sfondo, che qui e là vi si legge, di vicissitudini esistenziali e di amarezze nella vita privata: il titolo del volume è “La Madonna e i Santi nella fede e nella vita” (Napoli, Trani, 1902).

Si tratta di un libro che può essere letto come una delle tante agiografie o come un’opera di spiritualità mariana, ma a noi piace cogliervi i diffusi riferimenti alla tradizione popolare meridionale riguardante il culto della Madonna e dei Santi. Riguardo al culto dei Santi il saggio offre una selezione di pretta marca campana, tra cui spiccano Sant’Antonio Abate, Santa Filomena, e soprattutto San Gennaro, a cui la Serao poi dedicherà un libro successivo a questo (“San Gennaro nella leggenda e nella vita”), nel 1909. Intanto qui si dilunga Donna Matilde, sul culto tutto napoletano di Gennaro, suo vescovo- martire: «Io non saprei dirvi in quante chiese vi sia festa in onore di San Gennaro, sebbene io creda che tutte le messe di stamane siano dedicate a lui: so che a Foria, al Duomo, a San Gennaro dei Poveri, alla Sanità, vi è festa, illuminazione, banda musicale e altre consolazioni spirituali e temporali. In quanto al nome di Gennarino, Gennariello, esso, lo sapete, appartiene specialmente alla classe dei cocchieri, e che a chiamar Gennarino, in un posto di carrozzelle, si voltano dieci cocchieri, nel medesimo tempo. Quanti sigari, e quante bottiglie chieste oggi, con quel misto di bonarietà e di prepotenza, che vi fa immancabilmente sorridere, in nome del Patrono» (pag. 334). Su Santa Filomena, che la Sacra Congregazione dei Riti nella Riforma Liturgica tolse dal Calendario nel 1969, ma il cui culto continua presso il Santuario di Mugnano del Cardinale, le pagine della Serao esordiscono con un commento che vale la pena di riportare: «Fra quante ne ho conosciute, e sono varie, non ho trovato nessuna Filomena contenta del suo nome. In generale le donne usano questa civetteria di apparire malcontente del proprio nome, qualunque esso sia. In molte si comprende benissimo, che è un piccolo atto d’ipocrisia, destinato a suscitare dei graziosi complimenti, nelle persone che le circondano. In alcune, però, voi riconoscete subito l’antipatia sincera e grande pel proprio nome, e non vi è complimento d’uomo, non lusinga di corteggiatore o innamorato, che valga a consolarle di portare quel nome, e non un altro. Tutte le Filomene giovani o vecchie, povere o ricche, odiano il loro nome» (pag.325).

L’invenzione del culto della santa è cosa del primo ‘800, ed è un incrocio tra storia religiosa, politica e cultura popolare, capace di attirare l’attenzione e l’indagine storica anche di Benedetto Croce, ma nonostante i solidi argomenti scientifici e archeologici che negano l’esistenza di una martire Filomena, il culto popolare ha resistito e resiste tuttora, anche se in tono minore. La tradizione popolare è al centro dell’articolo su Sant’Antonio Abate: il santo con accanto il maiale, “sant’Antuono” è chiamato dal popolo napoletano, per distinguerlo dal Sant’Antonio da Padova, come nota la Serao: «Un santo apportator di gioia e di benessere , “auriuso” più di tutti gli altri suoi divini compagni del Paradiso. “Sant’Antuono, maschere e suone”, dice il motto popolare: e infatti nel giorno sacro al prediletto abate entra anche carnevale, coi suoi sonaglini, con la sua monumentale epa, col faccione allegro di luna piena. Entra in città, come vuole la leggenda popolana su un carrettino infronzolato seguito e preceduto da uno sciame di monelli che fanno le capriole, guazzando nel fango, assordando vie e vicoli e piazze, e cumulando le due gioie in una sola: la sacra e la profana. Inneggiano al carnevale e fanno la questua pel santo; e dopo il giro, dopo aver raccolto, dovunque, sedie sventrate, assicelle fradice, tavoli smantellati, casse, vecchie suppellettili, paglia, stecchi e fascine, raccolgono questo materiale combustibile nelle vie, e ne fanno delle fiammate enormi, intorno alle quali riddano, pazzi di allegria » (pagg.242-43). Di queste tradizioni popolari su Sant’Antonio Abate, come di altri Santi del “Paradiso Campano”, è ricco quel libro, ma la figura che vi predomina è Lei, la Madonna, coniugata nei mesi che le sono dedicati, da maggio a ottobre, e nelle forme e nei luoghi della tradizione mariana: la Candelora, l’Annunciazione, l’Assunta, l’Immacolata Concezione. Un rilievo notevole tra le descrizioni dei vari culti è assegnato ai santuari e alle feste mariane del Sud, soprattutto quelle del periodo estivo, tra luglio ed agosto.

Così per molte pagine si descrive il culto popolare della “mamma schiavona”, nel santuario del Carmine di Piazza Mercato, «in una delle più antiche, delle più storiche, delle più tragiche chiese napoletane», e la festa del 16 luglio, con “l’incendio” rituale del campanile di Fra Nuvolo; così pure nelle molte pagine dedicate alle folle di pellegrini invocanti soccorso alla Madonna di Pompei, nel Santuario creato dal nulla, a Valle di Pompei, dal Beato Bartolo Longo, chiesa poi elevata a Basilica Pontificia proprio nel maggio 1901, da Papa Leone XIII. Il culto e le feste dedicate alla Madonna delle Grazie descritte nel libro della Serao ci inducono, infine, a ricordare quanti paesi della provincia salernitana, in questi primi giorni di luglio, dedicano alla Vergine processioni, e ceri e banda e fuochi d’artificio: il 2 luglio a Vallo della Lucania, a Pogerola frazione di Amalfi, a Santomenna, a Raito di Vietri sul Mare, a Castel San Giorgio, località Aiello, a Contursi ed ancora in altri centri. Ogni prima domenica di luglio, da qualche secolo, in memoria di una pestilenza, nel 1537, Maria Immacolata - che fece miracolosamente cessare quel contagio - è portata in processione per le vie di Buccino, con grande concorso di popolo, le portatrici di grossi ceri, scalze: vi si colgono forti tratti di colore locale, ma anche di autentica fede. E di speranza nelle Grazie di Maria.